I rifugiati rimettono in sesto Villa Calderara
La casa e il parco sulla collina sono abbandonati da anni: i giovani africani e asiatici hanno iniziato a sistemare il giardino e il boschetto, insieme ai volontari di Exodus
Primi giorni a Gallarate per i rifugiati africani e asiatici scappati dalla guerra civile in Libia. Giornate di sole, in cui i ragazzi – quasi tutti molto giovani, alcuni con le cicatrici delle violenze subite – si sono dati subito da fare. Si sono messi a lavorare sodo, un po’ per migliorare le stanze dove vivono, ma anche per rimettere a posto il grande parco di Villa Calderara, abbandonata da tempo: «Sono ragazzi di grande umiltà e gentilezza. Quando hanno visto che mettevamo mano al giardino, sono venuti ad aiutarci» ci dice Luigi Fraschini, di Exodus, che è un po’ il responsabile dell’attività diurna. «Hanno tagliato il prato (e si parla di grandi superfici, ndr) e ci hanno dato una mano per ripristinare il sentiero che attraversa il boschetto e scende verso Cedrate». Rimosse ramaglie ed erbacce, il percorso consentirà di ridurre la strada per scendere verso la città: ma una volta ripulito il sentiero (nella foto a sinistra) sarà comunque un bel passaggio nel parco della villa di proprietà comunale. Allo stesso modo si è lavorato sulla stradina di accesso da via Monte Cassino, dove sono state chiuse le buche, posato il ghiaietto, strappate erbacce infestanti.
«Fin da subito – spiega Anna, educatrice di Exodus – ci hanno detto: "questa sarà la nostra casaper un po’, la teniamo pulita noi. E si sono dati da fare, si sono organizzati per le pulizie e i lavori di casa». Saro, Davide, Claudio, Stefania, Giusy e altri li stanno aiutando a sistemarsi, in una struttura abbandonata e che forse proprio da questa esperienza potrebbe rinascere. Si convive un po’ con le necessità della vita in comune (il cibo è cibo da mensa), ma per esempio la comunità musulmana ha già detto che si occuperà di dare cibo per tutto il periodo del ramadan, quando si mangia tardi, dopo il tramonto. In attesa, sabato è già previsto un pranzo a base di cous cous preparato dall’instancabile Hamid Khartaoui.
L’attività dei ragazzi è anche in qualche modo una risposta ai timori chevengono da (una parte dei) residenti della zona. I giovani africani e asiatici in Libia erano lavoratori («muratore e pulizie» ci ripete uno di loro), sono conosciuti e hanno voglia di integrarsi, non certo di creare problemi. «Capisco – dice ancora Fraschini – che ci siano delle preoccupazioni, ma queste sono persone che hanno subìto la guerra, molti di loro non volevano nemmeno venire in Italia».
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