“La tassa d’imbarco se ne va a Trapani”
Motivo: la guerra di Libia, che ha danneggiato economicamente l'aeroporto siciliano usato dai caccia Nato. La scoperta tra le pieghe delle norme sulle missioni militari da parte di Mario Aspesi, presidente della Associazione Nazionale Comuni Aeroportuali
Nel cuore d’agosto i Comuni aeroportuali d’Italia avevano scoperto che i soldi della tassa d’imbarco non c’erano più tra i trasferimenti, trattenuti dallo Stato. E a distanza di due settimane, il mistero su dove siano finiti sarebbe risolto: la tassa d’imbarco potrebbe trasformarsi in "risarcimento" di guerra. «Da una prima richiesta di chiarimenti abbiamo appreso che i soldi del 2011 sono stati dirottati a beneficio dell’aeroporto di Trapani» spiega Mario Aspesi, presidente della Associazione Nazionale Comuni Aeroportuali. L’indicazione è messa nero su bianco nella Legge 130 del 2 agosto 2011 (conversione del Decreto Legge 107 del 12 luglio 2011): si tratta del finanziamento delle missioni militari. All’articolo 4/bis della Legge si dice che la tassa d’imbarco – fino ad una quota massima di 10 milioni di euro – «è destinata all’adozione di misure di sostegno e di rilancio dei settori dell’economia delle province interessate da ingenti danni a seguito delle limitazioni imposte dalle attività operative militari ex Risoluzione ONU n. 1973 che hanno inciso sulla operatività degli scali aeroportuali civili».
Il fatto è che Trapani non ha un aeroporto civile a tutti gli effetti, ma un aeroporto militare che è aperto anche al traffico civile. Con lo scoppio della guerra in Libia, Trapani-Birgi è stato ri-militarizzato: dalla Sicilia i caccia F16 e Tornado dell’Aeronautica Militare Italiana e gli altri aerei della NATO sono partiti per mesi per ricognizioni e bombardamenti sulle truppe di Gheddafi. Centinaia di decolli ogni giorno. Quanto al traffico civile, tutto si è fermato: stop in particolare dal 21 marzo ai voli di Ryanair, che ha fatto di Trapani Birgi il suo scalo in Sicilia. Non solo: nel frattempo il territorio ha dovuto gestire anche l’arrivo di diverse centinaia di profughi, sistemati anche in zone isolate (tra cui gli ex aeroporti militari dismessi, Trapani Chinisia e Trapani Milo). Il sindaco di Trapani protestò, ma i profughi arrivarono lo stesso, sistemati nei container e nelle tende all’aperto sotto il sole, come in una Guantanamo di Sicilia. Ma il danno principale – nell’ottica del legislatore – rimarrebbe quella subìto dall’aeroporto, gestito da una società di proprietà al 49% della Provincia e per il 51% di privati.
In attesa di una conferma sulla destinazione di quanto dovuto per il 2011 (il sindaco di Trapani dice che il Comune non ne sa nulla), i Comuni aeroportuali possono guardare (forse) con «moderato ottimismo» alla situazione. «Non è scomparsa la tassa d’imbarco, ma solo una tranche di quest’anno» dice ancora Aspesi, senza nascondere poi l’irritazione per la mancanza di chiarezza da parte dello Stato su una tassa che dovrebbe rimanere sul territorio. «Sono le stesse vacche che vengono spostate da una parte all’altra» dice Aspesi citando un episodio curioso che vide coinvolto Antonio Segni. Come a dire: un anno si tappa una falla da una parte, un anno dall’altra e lo Stato si fa beffe degli enti locali, dalla Lombardia alla Sicilia. «Ho indetto per settimana prossima un direttivo Ancai per studiare la questione e come muoversi per recuperare i soldi».
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