Nasce “il Circolo della Bontà”
La fondazione degli “ospedali della gente” raccontata dal presidente, il giornalista Gianni Spartà
Pubblichiamo l’intervento integrale letto da Gianni Spartà giovedì sera nel corso della serata “Insieme in Circolo” dedicata all’Ospedale di Circolo – Fondazione Macchi. Nel corso dell’incontro è stata presentata dal suo presidente, il noto giornalista varesino, la fondazione “Il Circolo della Bontà”
* * *
Eccolo il Circolo della Bontà, lo vediamo sullo schermo: 31 quadratini neri chiusi in un cerchio, allusione al Circolo che è il nome dell’azienda ospedaliera di Varese. Un quadratino rosso il colore del cuore, della solidarietà, della sussidiarietà, della generosità ma se vogliamo usare una parola sola “della bontà”. Grazie a Gavino Sanna, gran maestro della comunicazione pubblicitaria, per averci dato questa idea e per aver rispolverato un valore sottovalutato in anni che sembrano dominati dal cinismo.
Facciamo quattro conti: se uno su 32 è “buono”, su 800.000, quante sono le anime della provincia di Varese, di “buoni” potenziali ce ne possono essere 25.000. Tanti, tantissimi. Giovanni Paolo II diceva che ricco non è chi possiede ma chi ha la capacità di dare.
Perché questo preambolo? Per introdurre i “buoni motivi” (come vedete si torna alla bontà) che sorreggono la scelta di costituire una fondazione in grado di supportare gli “ospedali della gente”, le nostre fabbriche della salute, il luoghi in cui si plasma e si pratica il “bene comune”.
Anatole France era pessimista: diceva che “la bontà non è affatto naturale nell’uomo. Bisogna indirizzarla , coltivarla”. Tolstoj era ancora più esplicito: “Non si può essere buoni a metà. Ecco perché i buoni sono pochi”.
Vero è che bene comune è una gomma che ciascuno tira dalla sua parte: per i sindacati è l’assistenzialismo, per gli imprenditori il liberismo, per i politico il clientelismo, per i cittadini è l’opportunismo spicciolo.
Ma qui parliamo di salute e le distinzioni dovrebbero cadere.
E allora perché una fondazione e perché ora? Perché gli ospedali sono un bene pubblico, ce li paghiamo con la tasse, ma se li vogliamo più efficienti, più umanizzati, più valorizzati dobbiamo tornare a sentirli nostri, a occuparcene. Perché ora? Perché la coperta pubblica è sempre più corta. Leggevo che il Policlinico di Milano sta pensando di mettere in vendita parte del patrimonio proprio, quasi tutte donazioni, valore 200 milioni di euro. Certo, ma quella riserva d’ossigeno bisogna averla.
Come? Con Walter Bergamaschi (nella foto, da sinistra Walter Bergamaschi, di fianco a lui Gianni Spartà) cominciammo a parlare di Fondazione dopo la pubblicazione di un rapporto della Cariplo che diceva: nel 2020 in Italia ci sarà un patrimonio di 105 miliardi di euro senza eredi. In un articolo pubblicato sulla Prealpina in prima pagina lo chiamai “Il tesoro della solitudine”. Da qui siamo partiti, dalla necessità di riscoprire la “cultura della beneficenza, del lascito”, per promuovere l’idea della Fondazione. In essa si è riconosciuto un gruppo di professionisti, imprenditori, ex primari, ex presidenti d’ospedale, docenti universitari giornalisti. Il messaggio è stato subito raccolto da una serie di soggetti: la Fondazione Cattaneo in persona di Achille e Roberto Babini, Paola Bassani in ricordo del marito Giovanni Valcavi, che fu presidente del Circolo, Ginetta Bianchi, personaggio conosciutissimo (ha lasciato un immobile all’ospedale impegnandolo a girarlo alla Fondazione, il Cral. I dipendenti degli ospedali sono stati i primi a dire: Noi ci crediamo, ecco il nostro contributo. Fateci caso: Cattaneo, Bassani, gli stessi nomi che stavano sui reparti storici del vecchio ospedale. A volte ritornano ed è bello annotarlo. Siamo certi che questi primi benefattori non resteranno soli.
A chi consegniamo Il Circolo della Bontà.
Naturalmente alla gente di Varese, di Cittiglio, di Luino, di Cuasso, le città che ospitano i cinque ospedali dell’azienda. Poi ai medici, agli infermieri, ai direttori generali: sono loro che possono far crescere il progetto.
Infine alla Regione, qui c’è il direttore generale della sanità lombarda Carlo Lucchina: potrà tornare a Milano e dire “nella mia città, a Varese, hanno dato vita a un modello che può essere riprodotto altrove”.
Vorrei chiudere sottolineando l’importanza dei segni: sono passati 365 giorni esatti da quando il 2 dicembre del 2010 all’ex cinema Rivoli annunciammo che cercavamo donatori di cuore per aiutare Varese, per dirla con Sanna. E 365 giorni scadono stasera, non domani. Già i segni sono importanti e lo sono anche i sogni.
Il mio sogno è che nel 2070, facciamo nel 2090, qualcuno voglia raccontare la storia di cui vi stiamo parlando. Avrà di fronte ospedali piccoli perché nel frattempo la scienza avrà vinto tante malattie e l’ospedalizzazione domiciliare non sarà più l’eccezione ma la regola. Costui approfondirà la sua ricerca scoprendo l’avventura del Circolo della Bontà e dirà: “Però, mica stupidi i nostri antenati”. Hanno visto giusto, hanno applicato la regola di Cicerone: non si vive solo per noi stessi. Pace all’anima loro, ma sono stati bravi.
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