Dario e Franca: “169 anni in due. Quando inizieremo ad invecchiare?”
Alla fine è di nuovo tornato in scena in città ed è stato, come prevedibile, un successo. Tributo da tutto esaurito per la rappresentazione di "Mistero buffo"
Alla fine è di nuovo tornato in scena a Varese ed è stato, come prevedibile, un successo. «Dopo migliaia di rappresentazioni questo spettacolo è ancora più vivo che mai». La “giullarata” di Dario Fo e Franca Fame ha preso corpo oltre 40 anni fa e da allora Mistero Buffo è andato in scena migliaia di volte in tanti teatri del mondo. Senza perdere i suoi sentimenti e la passione. E il tributo che gli ha dedicato la platea da tutto esaurito del Teatro di Varese è stata la conferma della vitalità dell’esperienza teatrale del premio Nobel e della sua inseparabile moglie. «Abbiamo centossessantanove anni in due – ha raccontato l’attore coprendola di carezze affettuose – ma l’altra mattina Franca, guardandomi, mi ha chiesto: e noi quando iniziamo a invecchiare?».
E così eccoli ancora a Varese, dopo trent’anni dalla loro ultima rappresentazione di Mistero buffo in città e ancora di più dalla loro gioventù trascorsa per un periodo proprio in questa provincia (come ci segnala anche la Pro Loco di Azzate su facebook).
Di “Mistero buffo” si è detto e scritto ormai tutto, ma quando torna in scena su un palco merita sempre una pagina nuova. Perché Dario Fo ogni volta è capace di scompaginare la scena (fin dall’inizio dello spettacolo quando ha invitato il pubblico in sala a salire e sedersi sul palco per assistere), e poi perché è lo spettacolo che per eccellenza sbeffeggia il potere e i potenti e ogni volta ridà voce e vita a chi la storia se l’è vista passare sopra la propria testa. E spesso ne è rimasto schiacciato.
Prova ne è la pedata nel fondoschiena che nel teatro di Fo papa Bonifacio VIII agghindato di anelli e mantello, si prende da Gesù. È una delle scene più celebri, con le quali in un sol colpo Fo dissacra e sbeffeggia le gerarchie ecclesistiche dando rivalsa alla fede sincera e alla dignità di un popolo: quello degli oppressi di ogni tempo.
Sul palco varesino la coppia di attori ha portato quattro monologhi, le più celebri giullarate che compongono l’opera. A partire dalla resurrezione di Lazzaro, raccontata attraverso gli occhi di un becchino e di un popolano impegnati a scommettere sulla riuscita o meno del miracolo.
Subito di seguito, affidata a Franca Rame, è andata in scena la storia della nascita del primo uomo, una donna, Eva, secondo la versione dei vangeli apocrifi. La storia di come Eva ha proceduto Adamo nel momento della creazione e di come insieme hanno scoperto l’amore.
La terza rappresentazione è stata quella di Bonifacio VII, dell’incontro di una Chiesa che vive nello sfarzo e Gesù che porta la croce. A chiudere la serata la rappresentazione di Franca Rame di Maria che piange suo figlio sotto la croce, mettendo in scena lo strazio e il dolore di una madre che soffre per la morte di un figlio, senza sacralità e liturgia ma carica solo di tanta umanità.
Uno spettacolo ricco e intenso dello studio e la passione che in tanti anni i due attori hanno infuso alla loro rappresentazione. Curato nella sua sincerità fin dalla lingua attraverso la ricostruzione dei dialetti del popolo che tra lombardo e veneziano caratterizzavano l’idioma dell’epoca della narrazione, in un filo che si è dispiegato e intrecciato anche con il presente. Con l’amministratore di Fiat Marchionne, papa Benedetto XVI, Silvio Berlusconi e altri personaggi di stretta attualità «aggancio indispensabile per il nostro lavoro – aveva detto Fo al nostro giornale -: la chiave di lettura per tanti aspetti del quotidiano: le furbizie, le corruzioni, le mascalzonate, la bagarre».
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