Aids, un progetto sperimentale per tornare a parlarne
Azienda ospedaliera, fondazione carnaghi e Brusadori e Liceo Candiani sperimenteranno con gli studenti incontri con medici e infermieri per tornare a parlare di una malattia ancora da temere ma della quale i giovani sanno poco
Aids, quanto ne sanno le generazioni nate negli anni ’90? Troppo poco ed è per questo che l’Azienda Ospedaliera di Busto Arsizio, in collaborazione con la Fondazione Carnaghi e Brusadori e il liceo artistico Candiani hanno deciso di mettere in piedi un progetto sperimentale per tornare a parlarne nelle scuole con l’ausilio di esperti e anche di chi, oggi, vive il calvario della malattia. «Anche se di Hiv non si muore più non vuol dire che bisogna abbassare la guardia e il vuoto informativo che da qualche anno a questa parte c’è su questo tema è un grave danno per le generazioni presenti e future» – spiega la dottoressa Tiziana Quirino, responsabile della struttura complessa di malattie infettive dell’ospedale di Busto. Secondo la dottoressa «si è persa l’idea del rischio prchè si è abbassata la guardia ed è per questo che abbiamo deciso di selezionare un campione di 4-5 ragazzi prima di organizzare gli incontri con le classi per capire a che livello di conoscenza sono i ragazzi che oggi hanno 17-18 anni». Inutile dire che il livello di consapevolezza si è abbassato molto.
Per questo il dirigente della scuola Andrea Monteduro non solo ha accolto con entusiasmo il progetto ma ha anche sviluppato un lato artistico della tematica con la produzione di locandine che parlano della tematica Hiv: «Da subito ho trovato molto ascolto da parte dell’ospedale di Busto su questo tema – racconta il dirigente – in primis perchè non vorremmo replicare la lezione frontale nella quale c’è l’esperto che parla e i ragazzi che ascoltano e basta. C’è tra i ragazzi una certa idea che non si muore più, che si può rimanere eternamente giovani mentre dobbiamo riportarli a riprendere contatto con la vita e con le difficoltà del deterioramento, della malattia come parti integranti della vita stessa. Saranno 350 i ragazzi dai 17 ai 18 anni che parteciperanno da domani a questa iniziativa. Compileranno un questionario prima e dopo gli incontri per riscontrare i miglioramenti in termini di conoscenza. Vogliamo proporre ai ragazzi qualcosa che vada oltre l’educazione sessuale, una vera e propria educazione emotiva che li aiuti nella gestione delle emozioni».
Paolo Genoni, presidente della fondazione tiene molto a questo progetto: «L’idea di sostenere iniziativa che entra nelle scuole ci ha fatto molto piacere. Fare educazione sanitaria a tutti i livelli è uno dei nostri obiettivi e vorremmo allargare questi incontri anche agli altri strati della cittadinanza cercando di instillare nelle persone un’educazione sanitaria che possa aiutare a prevenire le malattie».
Il direttore dell’azienda ospedaliera Armando Gozzini si dice soddisfatto dell’iniziativa: «Da tempo non si affrontava questo tema nelle scuole e siamo oltremodo orgogliosi di essere protagonisti di questo ritorno all’informazione sui pericoli dell’Hiv che, vorrei precisare, non è una prerogativa degli omosessuali. Tutti siamo a rischio. Si tratta di un’iniziativa lodevole perchè c’è forte consapevolezza dei medici affinchè si porti informazione fuori dalla struttura sanitaria. Vuol dire che siamo vivi e andiamo oltre la routine».
Gli incontri saranno condotti da medici e infermieri del reparto malattie infettive e toccheranno anche le altre malattie sessualmente trasmissibili. Per quest’anno saranno coinvolti solo gli studenti delle classi IV e V ma dall’anno prossimo, una volta valutati gli effetti della sperimentazione, si potrà pensare a momenti informativi, anche con figure più appropriate come pedagogisti, ai ragazzi di 13-14 anni. E’, infatti, innegabile il dato che l’età del primo rapporto sessuale si è abbassata e di questo ne sono consapevoli tutti gli attori protagonisti di questa iniziativa: «Siamo consapevoli di questo – conclude la dottoressa Quirino – ma dobbiamo affrontare l’informazione a fasce più giovani con un’attenzione maggiore e sicuramente diversa rispetto ai ragazzi più grandi».
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