Articolo 18, nella riforma torna il reintegro
Il nuovo testo presentato dal governo è modificato all'articolo 14 dove si parla delle tutele del lavoratore in caso di licenziamento. Sarà il giudice a decidere se sussiste il giustificato motivo, diminuiscono le indennità
Dovrà esserci una manifesta insussistenza del motivo ma il reintegro in caso di licenziamento per motivi economici rientra nuovamente nel nuovo testo che riformerà il mercato del lavoro. A decidere sarà il giudice e le mensilità di indennizzo scendono da un massimo di 27 a 24. Il principale scoglio per l’approvazione in parlamento del disegno di legge sembra essere superato con qualche mugugno da parte di Confindustria ma con il placet del Partito Democratico. Non a caso il segretario del Pd Pierluigi Bersani ha definito la modifica “un gran passo avanti” che, con tutta probabilità, spianerà la strada ad una rapida approvazione della riforma. Ecco il nuovo testo.
La modifica è contenuta nell’articolo 14 del testo, la parte riguardante le “tutele del lavoratore in caso di licenziamento illegittimo”. "Il giudice – si legge -, nelle ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, perché il fatto contestato non sussiste o il lavoratore non lo ha commesso ovvero perché il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle tipizzazioni di giustificato motivo soggettivo e di giusta causa previste dai contratti collettivi applicabili, annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro e al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto quanto il lavoratore ha percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative, nonché quanto avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione".
In ogni caso – dice il testo – la misura dell’indennità risarcitoria non potrà essere superiore a dodici mensilità della retribuzione globale di fatto. Il datore di lavoro è condannato, altresì, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello della effettiva reintegrazione, maggiorati degli interessi nella misura legale senza applicazione di sanzioni per omessa o ritardata contribuzione, per un importo pari al differenziale contributivo esistente tra la contribuzione che sarebbe stata maturata nel rapporto di lavoro risolto dall’illegittimo licenziamento e quella accreditata al lavoratore in conseguenza dello svolgimento di altre attività lavorative".
"In quest’ultimo caso, qualora i contributi afferiscano ad altra gestione previdenziale – dice l’articolo 14 del ddl – essi sono imputati d’ufficio alla gestione corrispondente all’attività lavorativa svolta dal dipendente licenziato, con addebito dei relativi costi al datore di lavoro. A seguito dell’ordine di reintegrazione, il rapporto di lavoro si intende risolto quando il lavoratore non abbia ripreso servizio entro trenta giorni dall’invito del datore di lavoro, salvo il caso in cui abbia richiesto l’indennità sostitutiva della reintegrazione nel posto di lavoro ai sensi del terzo comma".
“Nell’ipotesi di revoca del licenziamento, purché effettuata entro il termine di quindici giorni dalla
comunicazione al datore di lavoro dell’impugnazione del medesimo, il rapporto di lavoro si intende
ripristinato senza soluzione di continuità, con diritto del lavoratore alla retribuzione maturata nel
periodo precedente alla revoca, e non trovano applicazione i regimi sanzionatori previsti dal
presente articolo.”
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