Il pallino di Bossi
La tattica politica ha la meglio sulla richiesta di una grande svolta nella Lega
Sfumato il “padano” Va pensiero si riaccendono le luci e i militanti escono lentamente dalla nuova fiera di Bergamo. Nei capannelli subito fuori dalla sala Donizetti le facce sono alquanto perplesse.
La serata dell’orgoglio leghista aveva due grandi aspettative: fare pulizia e incoronare Maroni “nuovo re” del Carroccio. Striscioni, cori e coreografie andavano tutti nella stessa direzione: “espulsioni, espulsioni”. Alla fine i militanti portano a casa solo quella di Francesco Belsito, un ammonimento per la Rosi Mauro e una severa tirata di orecchie per altri non meglio identificati personaggi.
Quanto all’incoronazione di Roberto Maroni è tutto da rifare. Si dovrà attendere il congresso di autunno, ma Umberto Bossi non molla, e a Bergamo più combattivo che negli ultimi periodi l’ha lasciato intendere bene. È lui che tiene il pallino. È vero che ha chiesto scusa e che si è preso dei fischi sonori. Due cose a cui il senatur non è abituato affatto. Stasera però è ritornato nella sua Gemonio più in sella che mai. Lui è il partito e, anche se a voce bassa, qualcuno dice che, una volta a casa “gli faranno di nuovo il lavaggio del cervello”, si riparte da Bossi.
Certo, a Bergamo si è infranto un tabù. Il capo non è più intoccabile, ma intanto Maroni ha ribadito che “se Umberto Bossi deciderà di ricandidarsi io lo voterò”. Il richiamo all’unità e alla “ripresa di una battaglia di una Lega fortissima contro Roma” è stato accolto con grandi applausi, ma inframmezzati da cori che chiedevano altro.
E altro non c’è stato. Non è stata quella assise di vera svolta, tanto simile a un congresso, come a gran voce veniva richiesta. Si capisce allora perché qualche giovane alla fine fischiettava quel ritornello impietoso tanto in voga nei palazzetti dello sport a fine partita: “che siete venuti a fa’, che siete venuti a fa’…”
La politica è anche questo, non solo passione. La serata dell’orgoglio serviva anche a lavare l’accusa peggiore che è quella dell’essere considerati “come gli altri”. Nel Carroccio questa onta, come l’ha chiamata Maroni, brucia più di qualsiasi altra.
Ora resterà da vedere quali saranno gli sviluppi delle indagini giudiziarie, e se basteranno la sola testa di Belsito e le dimissioni di Renzo Bossi a placare la voglia di pulizia dei militanti. L’altra partita è tutta politica e riguarda i rapporti interni al movimento.
A ricucire gli strappi non bastano certo le parole pronunciate a Bergamo, e le nove colonne della Padania con la foto dei due leader che si guardano negli occhi e il titolo “Si ricomincia”.
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