Salvatore Borsellino ai giovani: “Paolo è morto ottimista grazie a voi”
Il fratello del magistrato ammazzato a Palermo nel ’92 ha parlato con i ragazzi a Comunità Giovanile della fiducia che Paolo Borsellino nel futuro. E anche se “lo hanno fatto a pezzi, non è morto perchè ora è nei cuori di ognuno di voi”
«Sono qui per raccontarvi gli errori che ho fatto nella mia vita». E’ con queste parole che Salvatore Borsellino, fratello del magistrato morto ammazzato il 19 luglio 1992 davanti alla casa della madre, si è presento alla platea di giovani di Comunità Giovanile impegnati con l’IPC Falcone in un progetto sulla legalità. Il racconto di Salvatore inizia «subito dopo la laurea» quando ha deciso di scappare da Palermo «per non vivere in una città in cui le vie venivano chiamate con i nomi di chi era stato lì ammazzato e in cui troppo spesso teli bianchi coprivano uomini dello Stato». Uno stato che anche «a mio fratello non piaceva e che per questo aveva deciso di servire» ma che, com’è tristemente noto lo ha portato alla morte con l’esplosione di un’autobomba 53 giorni dopo l’attentato al suo collega Giovanni Falcone. Salvatore Borsellino racconta con dovizia di particolari quell’indelebile 19 luglio.
Il lavoro al computer, la chiamata della moglie, le prime notizie alla televisione, il volo a Palermo, i resti
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Ed è proprio verso i giovani che si concentra il discorso di Salvatore Borsellino. «Non mi importa morire senza sapere la verità su quelle stragi -continua- perchè so che qui a lottare rimarrete voi». Di questo era sicuro anche il fratello. «Il giorno stesso in cui sarebbe morto in una lettera scriveva “sono ottimista” e io non riuscivo a capire» fino a quando, parecchi anni più tardi, «mi sono reso conto che la sua fiducia era in tutti voi». Infatti, solo nel momento in cui «l’intera classe dirigente sarà sostituita da voi la mafia potrà scomparire».
Salvatore Borsellino legge nei visi dei ragazzi che incontra per mezza Italia «quella sete di giustizia che un giorno porterà i responsabili di quelle stragi a rispondere dei loro atti». Ma questa sete di giustizia non è tanto rivolta «a chi ha materialmente attuato la strage» ma a chi «ha taciuto, ha omesso, ha depistato: è di loro che bisogna conoscere i nomi». Nomi che, a vent’anni dalla strage, ancora non si conoscono.
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