La “Uno Bianca” come mai nessuno l’ha raccontata
La scia di sangue della banda raccontata per Chiarelettere dal magistrato Giovanni Spinosa, che ha curato le indagini legate ai fratelli Savi e ai loro complici
Il 19 giugno prossimo ricorrerà una data che gli amarcord di cronaca dei giornali difficilmente avrebbero citato, se non fosse uscito questo libro.
Al casello di Pesaro, lungo la A14, gli occupanti di un’auto si appropriavano senza sparare un colpo di un milione e 300 mila lire in contanti.
Un commando? Si. Di tre uomini, e con lo stesso cognome: Savi. Era il 1987 e quell’episodio fu il primo della serie di quella che venne battezzata come la "banda della Uno bianca".
Molti si ricorderanno di sparatorie, conflitti a fuoco, e tantissimi morti. Stragi che vennero dopo, in seguito al "salto di qualità" che segnò il passo dalle rapine a mano armata nei caselli, ai colpi alle Coop, fino agli assalti in banca e in posta, coi morti.
Tutto contenuto nella minuziosa ricostruzione che Giovanni Spinosa, pubblico ministero incaricato di indagare su quella ferocia, offre nell’opera edita da Chiarelettere.
Un testo completo, denso e particolareggiato che per dirla con Marco Travaglio, estensore della prefazione, «non è, purtroppo, un romanzo»: tutto vero.
Un gruppo di fuoco che spara tantissimo (nella rapina all’ufficio postale di Bologna, nel gennaio del ’90 vi furono 57 feriti) e che uccide senza pietà non solo militari armati – vedi l’eccidio del Pilastro: morti tre carabinieri (foto qui sotto) – , ma anche a caso, solo per provocare il terrore: colpi di mitra contro i campi nomadi, con vittime, pensionati uccisi solo perché testimoni scomodi, guardie giurate, operai senegalesi.
Il testo non a caso si articola su due piani inclinati: la ricostruzione storica delle imprese dei fratelli Savi – cui si aggiungono gli altri complici della banda – e il quadro complessivo di ciò che stava accadendo nel Paese in quel periodo.
Due imbuti che portano ad un’oscura e dolorosa domanda di fondo che va a sommarsi a tante altre, troppe, che restano ancora inevase nella storia della Repubblica: perché? Perché, dopo oltre 80 colpi, 23 morti, una montagna di proiettili esplosi e di soldi rubati con la violenza (quasi 2 miliardi di lire) i Savi si fanno arrestare quando potrebbero trovare rifugio agevolmente all’estero?
È questo "Il senso di una storia senza senso" come Giovanni Spinosa titola la prima parte del suo libro, che vuole l’operato della banda iscritto in un disegno più grande, più "alto" della violenza fine a sé stessa: la banda della Uno bianca è uno dei primi atti di cui la mafia si serve per opporre la sua forza a quella dello Stato. Una serie di "botti" meno fragorosi di quelli di Roma, Milano e Firenze, ma non per questo meno agghiaccianti per l’opinione pubblica.
Troppe coincidenze fanno venire la pelle d’oca: i sette anni della Uno bianca si posizionano tra la strage del "rapido 904", e la fine del periodo delle bombe, sempre di mafia. Altro particolare, anch’esso da far accapponare la pelle: è facile indovinare quale auto viene usata per la preparazione degli attentati di Cosa Nostra di Via Fauro a Roma, di San Giovanni in Laterano e del Velabro , sempre nella capitale, e per l’autobomba della strage di Via Palestro, a Milano. Già, è proprio lei: una Fat Uno bianca. Un caso? Forse. Ma sfogliare le pagine di questo libro significa tuffarsi in un mondo a più dimensioni.
C’è la dinamica degli eventi, che minuziosamente primeggiano su tutto: dal calibro delle armi impiegate, alle tante ricostruzioni, alcune anche rocambolesche di quanto avvenuto, ma soprattutto il profilo degli interpreti: Roberto, Fabio, Alberto Savi; Pietro Gugliotta, Marino Occhipinti, Luca Vallicelli: cinque membri della banda su sei sono poliziotti: dove trovano tutte quelle armi? Chi li comanda? E perché si fanno carico di addossarsi diversi omicidi? Per questo il libro ha un titolo azzaccatissimo: non "La storia della Uno bianca", bensì l’Italia di quegli anni.
Un ritratto che riporta indietro nel tempo e lascia alta la giusta tensione civile dovuta ai tanti interrogativi che hanno riguardato quel periodo, così vicino.
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