Dionigi: “Oggi Varese è più amica di una volta”
Il rettore dell'Insubria ha ripercorso al Rotary club Varese le tappe di una ricca carriera accademica e professionale. «In quindici anni di rettorato non ci sono state interferenze della politica»
«Non è un commiato, questa parola non mi piace». Sorride Renzo Dionigi di fronte agli amici rotariani di Varese. Dopo quindici anni di rettorato all’università dell’Insubria, ateneo che ha letteralmente voluto e costruito, e una vita spesa per rilanciare la chirurgia di Varese, Dionigi ha ancora un futuro pieno di impegni a partire da quelli «internazionali».
Una vita ricca di successi professionali, accademici e anche “politici”, nel senso più lato del termine, non significa avere avuto un percorso facile, anzi. Conquistare l’autonomia universitaria rispetto a Pavia, qualificare una chirurgia «ottima ma limitata» e conquistare così la fiducia dei pazienti («che andavano a farsi operare a Milano o in altre sedi, piuttosto che venire da fuori»), e infine affrontare la competizione dei colleghi ospedalieri, sono state le dure tappe di quel percorso.
A ricordare gli esordi del giovane chirurgo, “spedito” dall’università di Pavia a operare nella Città Giardino, ci ha pensato il giornalista Pierfausto Vedani («Dionigi dormiva in reparto dentro un sacco a pelo, un segno di grande disponibilità»). Sono però gli anni della costruzione dell’università i più difficili, perché «oggi è una vocazione della città, ma allora la volevano in pochi». E se il nome “Insubria” al giornalista della Prealpina Gianni Spartà era sembrato così «indigesto», tanto da vedersi recapitare in redazione una bottiglia di Fernet Branca, le ragioni vere di quella scelta, svincolate da qualsiasi dietrologia politica, appaiono ora più digeribili. Insomma, la Lega Nord e Bossi non c’entrano nulla con il battesimo dell’università. «In quindici anni di rettorato – racconta Dionigi – non ci sono state interferenze della politica. Semmai c’erano quelle del sottoscritto che badava a chiedere soldi per l’ateneo».
L’impulso principale arrivò invece dal ministro Luigi Berlinguer che gli disse: «Dagli il nome giusto e fammi sapere». Non era una scelta facile per un ateneo che serviva due città, Como e Varese, perché avrebbe potuto scatenare facili campanilismi. E allora Dionigi, prendendo spunto dal fatto che una denominazione che richiamasse le origini precristiane del territorio aveva funzionato bene per l’università della Tuscia (Viterbo) e quella del Sannio (Benevento), decise per “Insubria”, nome sconosciuto ai più. E forse, fino a quel momento, anche allo stesso Dionigi.
I luoghi comuni sono i peggiori nemici della verità e uno di questi riguarda proprio le università italiane di recente istituzione. «Non è vero – spiega il rettore – che in Italia ce ne sono troppe, è la distribuzione territoriale che è sbagliata. In Italia ci sono ottantotto università di cui dodici in Lombardia. Pensate che solo a Lugano ce ne sono quattro».
Dionigi è già proiettato verso i progetti futuri, come l’inaugurazione del collegio universitario di Bizzozero, prevista per il prossimo autunno, che metterà a disposizione degli studenti 97 appartamenti singoli e 5 per i professori. E per rendere meno duro il passaggio di testimone della chirurgia, apre ai giovani colleghi tra i quali c’è anche il trentottenne figlio Gianlorenzo, anch’egli chirurgo e professore. «La chirurgia è cambiata profondamente in questi 25 anni perché c’è stato un cambio di mentalità. Oggi la decisione è sempre collegiale e interdisciplinare e i miei assistenti più giovani operano tre volte di più di quando avevo io 46 anni».
Che il rapporto tra università e ospedale non sia mai stato idilliaco, è cosa risaputa. E quando Vedani sollecita Dionigi sull’argomento, la replica è perentoria: «Ti rispondo con un grafico: Trombetta con il suo carattere, e poi non so chi ci sia stato. Lucchina con la sua competenza, e poi non so chi ci sia stato. Bergamaschi con la sua disponibilità. Quindi tre apici ci sono stati e oggi siamo molto soddisfatti. Sono felice di quello che ho fatto e felice di essere in Varese che adesso è un po’ più amica di una volta».
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