Bergamaschi saluta Varese: ” Grazie, mi avete aiutato molto!”
Dopo 5 anni, lascia la direzione dell'azienda ospedaliera varesina per andare a dirigere Niguarda. Walter Bergamaschi ricorda i momenti salienti e dei progetti futuri
Ormai è solo questione di scatole. Nell’ufficio del direttore a Villa Tamagno, gli scatoloni iniziano ad accumularsi. Raccolgono gli ultimi 5 anni di vita dell’azienda ospedaliera varesina, 5 anni di direzione Bergamaschi. Tra poco più di una settimana, il "dg" andrà a ricoprire analogo incarico al Niguarda, l’ospedale più grande di Milano. Un incarico prestigioso, una promozione per un manager giovane con alle spalle anche una carriera ministeriale: « C’è un po’ di nostalgia. Ero arrivato direttamente da Roma dove ricoprivo un ruolo indubbiamente complesso e impegnativo ma più defilato. A Varese mi sono ritrovato a capo di un’azienda con 4000 dipendenti e un bilancio di 380 milioni di euro. Una situazione complessa che io ho affrontato mettendo tutte le energie e la passione che avevo. E mettersi in gioco così tanto porta di conseguenza emozioni e sensazioni che ti lasciano il segno. Indubbiamente questa sarà un’esperienza che mi ha segnato e che mi porterò per sempre».
La prossima settimana, Walter Bergamaschi sancirà ufficialmente il passaggio di consegne presentando il suo successore, Callisto Bravi in arrivo dall’ospedale milanese Sacco: « Lascio un’azienda che ha subito molti cambiamenti- commenta Walter Bergamaschi – si è ammodernata, ampliata, ha aumentato l’offerta. Certo, l’assistenza sanitaria sta cambiando e così il ruolo degli ospedali. I presidi di Varese si stanno avviando verso questa nuova vocazione di assistenza nella fase acuta e di accompagnamento verso le eccellenze. In un sistema a rete non si può pensare che tutti gli ospedali facciano tutto nel modo migliore. Si costruiscono sinergie per cui l’ospedale accompagna il paziente a ricevere le migliori cure, pur mantenendo il ruolo di punto di riferimento».
In questo sistema di eccellenze, Varese diventa punto di riferimento per gli impianti cocleari piuttosto che i tumori della base cranica, l’elettrofisiologia, la ginecologia laparoscopica: « Un elenco sarebbe troppo lungo. Ogni unità operativa si è specializzata in un settore diventando punto di riferimento regionale. E, a livello aziendale, si è cercato di replicare il sistema a rete prevedendo assistenza generalizzata con vocazioni specifiche per Cittiglio, nel campo materno infantile, e per Luino con la riabilitazione e i subacuti. Cuasso mantiene la sua vocazione riabilitativa. Un’organizzazione possibile solo grazie al lavoro di equipe del personale. Alla fine sono i professionisti che fanno la qualità di un ospedale ».
Il futuro di Cuasso può definirsi ormai una certezza? « Il destino di quell’ospedale non può essere deciso semplicemente su basi tecniche. Pur consapevoli che per posizione e numero di posti letto non avrebbe una sostenibilità, bisogna inserire il presidio nel tessuto sociale ed economico in cui insiste. Ecco perchè ritengo basilare il tavolo avviato con le Comunità montane per trovarne la vocazione. Potrebbe essere il progetto di gestione congiunta pubblico/privato piuttosto che una qualsiasi altra forma di condivisione delle spese di gestione: è da 20 anni che si discute di questo ospedale dove i soli costi di riscaldamento ammontano a un milione di euro».
E il Ponte del Sorriso?: «Sinceramente mi sembra paradossale l’atteggiamento negativo che ogni tanto colgo contro il progetto. Una città che si è fatta conoscere per lo spirito imprenditoriale e per le sfide assunte e vinte non capisco come mai sia così frenata. Bisogna lanciare il cuore oltre l’ostacolo, volare alto e mirare a grandi obiettivi. Quando io sono arrivato, i lavori erano già finanziati. Il progetto è stato presentato e accolto favorevolmente dalla città per ben due volte. Poi, è vero, è sopraggiunta la peggiore crisi del settore sanitario che il paese abbia mai vissuto. Ma non si può farsi terrorizzare dal presente: questo è un grande progetto per Varese e, nel momento dovesse concretizzarsi l’unificazione delle stazioni, il Del Ponte sarebbe nella posizione ottimale e tutti i problemi legati alla circolazione e ai parcheggi svanirebbero. Credo che i varesini dovrebbero essere più ambiziosi».
La crisi economica, con le pesanti ripercussioni a livello sanitario, è stata la causa delle maggiori difficoltà gestionali del dg: « Il momento più brutto della mia direzione risale al settembre 2011 quando per la prima volta, ci siamo tutti resi davvero conto quanto la crisi stesse influenzando tutto il sistema, compreso quello sanitario, ritenuto da sempre e da tutti un diritto inviolabile. Per la prima volta siamo stati chiamati a fare i conti con finanziamenti limitati a fronte di una domanda di assistenza crescente. Ci siamo e ci dobbiamo inventare equilibri di bilancio che vadano oltre i semplici numeri ma senza prescinderne. Il popolo italiano ha la cultura del diritto alla salute come bene primario, ma deve riflettere attentamente sul suo valore e su come deve essere tutelato».
Com’è cambiato Walter Bergamaschi dopo 5 anni di direzione varesina? «Quando sono arrivato per la prima volta al Circolo ero disorientato. Arrivavo in quello che io consideravo un ospedale nuovo, tecnologico, efficiente, un modello di cui andare fieri e, invece, mi accorsi che c’era molto malumore. La città era diffidente e il personale freddo e distaccato. Ricordo ancora la mia prima visita al pronto soccorso il primo gennaio: fui investito dalle critiche. Fui aiutato da Giuseppe Adamoli che mi suggerì di concentrami sull’ospedale, perché la città mi avrebbe seguito. E, in effetti, è stato così. La comunità è molto attenta e partecipe perché considera questo presidio un bene collettivo da tutelare. Dalla sua pressione, dai suoi incoraggiamenti e dai suoi stimoli ho imparato ad affrontare le diverse situazioni e, pur con tutti gli sbagli di gioventù, credo di aver visto crescere l’affetto sia interno sia esterno. Varese è una città inizialmente diffidente. Poi, però, se si sente coinvolta sa ricambiare con grande affetto. È una città di provincia e questo è il suo pregio: io che sono una persona riservata ho dovuto aprirmi alla sua comunità ricevendo, però, il conforto e il sostegno necessari nei momenti difficili. E proprio questa condivisione reputo che sia il punto di forza del ruolo che ho ricoperto: il mio consiglio al nuovo dg è proprio quello di continuare a pretendere il controllo sociale dell’ospedale, un vantaggio da sfruttare»
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