La natura può essere considerata soggetto di diritti?
Giacomo Petitti di Mani Tese racconta a VareseNews i lavori della Terza Conferenza Internazionale sulla Decrescita di Venezia: si parla del "sacro" concetto di proprietà
È il giorno dei beni comuni, primo grande asse tematico della conferenza, e sul banco degli imputati salgono le politiche di sfruttamento e gestione delle risorse naturali. L’utilizzo nel linguaggio comune del termine risorse (cioè fonti di ricchezza) per indicare terra, sole, acqua, aria, ovvero gli elementi che garantiscono l’esistenza di tutti e che dovrebbero essere preservati in quanto tali, è già di per sé emblematico. Come dire che tendiamo naturalmente a privatizzare, mercificare e vendere ciò che invece la natura ci regala da millenni senza chiedere niente in cambio. D’altronde poter disporre gratis di una di una merce scarsa e a domanda rigida, come ad esempio l’acqua, è l’affare perfetto. Zero rischi, profitti sicuri. Per questo gli elementi naturali sono al centro di tensioni sempre crescenti. Gli anglosassoni definiscono il fenomeno grabbing, ovvero accaparramento del suolo, dei mari, delle foreste e delle risorse estrattive.
A questa logica un movimento sempre più ampio di persone contrappone quella dei commons, i beni comuni. È possibile affermare che certe categorie devono necessariamente rimanere fuori dal mercato, perché non possono appartenere in via definitiva a nessuno? Elinor Ostrom, premio Nobel per l’economia nel 2009, lo teorizza dai primi anni ’90. Dalla teoria alla pratica, la questione fondamentale diventa come gestire i beni comuni (nel cui elenco compaiono gli elementi naturali, ma anche la conoscenza e per alcuni la rete internet) in modo che possano essere goduti dalla collettività. Il discorso è molto più calato nel reale di quanto possa sembrare. Lo chiarisce senza mezzi termini Alberto Lucarelli, giurista e assessore ai beni comuni e alla democrazia partecipata del comune di Napoli, raccontando la sua esperienza di amministratore di una grande città italiana.
I commons non sono né pubblici né privati, non appartengono allo stato né a singoli cittadini, ma alla comunità che li gestisce e ne fruisce, attenta a preservarli per le future generazioni. A vacillare qui è il sacro concetto di proprietà, che sancisce il diritto del proprietario di disporre come crede del suo bene. Sacro per noi occidentali, forse, ma non per gli indigeni Quechua e Aymara, nativi del Sud America, per i quali il problema è relativo. Al centro del cosmo non c’è l’uomo, ma l’armonia della natura di cui l’uomo è parte integrante. Una storia lontana anni luce da noi, ma che ci pone un quesito su cui vale la pena interrogarsi.
La natura può essere considerata soggetto di diritti? Se così fosse si potrebbero punire molti crimini ambientali che devastano l’ecosistema lasciandoci ogni volta tutti un po’ più poveri.
Le costituzioni della Bolivia e dell’Ecuador hanno inserito il rispetto e la difesa della natura (Pachamama) tra i loro valori. A volte osservare la realtà da un diverso punto di vista può regalare prospettive inaspettate. Chissà che non possiamo pensarci anche noi.
Per seguire i lavori attraverso i commenti, le foto e le interviste della delegazione di Mani Tese presente alla conferenza: www.manitese.it
LEGGI IL DIARIO DI GIACOMO PETITTI DA VENEZIA
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