Gli uomini che riscoprirono San Pietro
A fine Ottocento la città aveva bisogno di riscoprire la sue antiche radici, nella grande storia dell'Italia da poco riunificata. Per vent'anni si lavorò sulla chiesetta romanica di San Pietro (che allora aveva in campanile)
È il monumento più noto di Gallarate, salvato, recuperato, riplasmato: la chiesetta di San Pietro – che oggi sta nel mezzo della piazza principale, mentre un tempo aveva una sua piazzetta distinta da quella della Basilica di Santa Maria Assunta – ha una storia molto antica e travagliata, ma molto di quanto sappiamo (e vediamo) oggi del monumento è stato frutto della ricerca e dell’impegno dei Gallaratesi di fine Ottocento. La storia del recupero dell’oratorio romanico è stata raccontata nel corso di un incontro al Museo della Società Gallaratese di Studi Patri, curato dall’avvocato Massimo Palazzi e dall’architetto Matteo Scaltritti. Un’avventura durata quasi vent’anni, per riportare alla luce le radici più antiche del borgo.
La chiesetta fu costruita nel Basso Medioevo (tra XI e XII secolo), ma poi nei secoli passò per mille traversie: tra i pochi edifici del borgo ad esser fatto di solide pietre, fungeva da rifugio per la popolazione in occasione delle scorrerie delle soldataglie (frequenti gli scontri tra Torriani e Visconti che coinvolsero Gallarate) e fu trasformata in un mezzo fortilizio con tanto di merlature. In età moderna fu circondata di nuovi locali (compreso un ambiente usato come falegnameria e macello, cui si accedeva dalla chiesa stessa!) e poi riplasmata – per intervento dell’arcivescovo Carlo Borromeo – con nuovo abside e finestrino. Come sopravvisse la chiesa fino ad oggi? Di certo cambiò molto del suo aspetto, ma la sua antichità fece sì che fosse conservata e guadata con attenzione: gli storici di fine Settecento pensavano addirittura che fosse stata in passato «sinagoga e ghetto degli ebrei» (lo scriveva il Riva nel 1789: attribuzione ovviamente fantasiosa, non foss’altro che per le dimensioni e la grandiosità – per quei tempi – dell’edificio). Con l’Unità fu dichiarata – quasi subito – monumento nazionale: un riconoscimento da cui prese il via la grande impresa del recupero e del restauro, finalizzato a riportare l’edificio alle forme romaniche. L’operazione – coordinata nel progetto da Luigi Perrone, che aveva legami professionali e personali con importanti architetti e funzionari del Regno – durò quasi vent’anni, a cavallo tra Ottocento e Novecento: un cantiere (fisico ma anche culturale e simbolico) per rafforzare l’identità e le radici del borgo di Gallarate, ormai parte dell’Italia unita. Così il 30 giugno del 1903 s’abbattè il campanile recente, poi si passò alla cappella barocca di San Girolamo, poi ancora alle case. Nel frattempo, tornavano alla luce (e venivano integrate abilmente) le parti romaniche: «Il 29 dicembre del 1903 – ha spiegato Scaltritti – fu scoperto, nel senso di reso visibile, il colonnato romanico sul lato Sud dell’edificio». Allo stesso modo «la facciata fu scoperta il 28 giugno 1909», con il portale romanico ricostruito al centro, al posto di quello barocco (nella immagine: la chiesetta nell’Ottocento, prima dell’abbattimento della Collegiata, visibile sullo sfondo, che fu sostituita dalla Basilica).
Il restauro “mimetizzò” le parti moderne create per integrare quelle romaniche, nel caso dell’abside si ricostruì di sana pianta la parte posteriore della chiesa, demolendo quella barocca. Un’operazione falsa? In realtà ad occhi appena esperti le parti originali e quelle integrate sono ben distinguibili, ne scrisse anche l’illustre studioso americano del romanico A.K. Porter. Ma forse non è questo che conta: la chiesa come è oggi è comunque un documento autentico, nel senso che racconta da un lato le radici lontane della città, ma dall’altro anche la caparbietà e l’orgoglio degli intellettuali gallaratesi di fine Ottocento, che lavorarono anni per “valorizzare” il monumento nazionale. Tutto fu fatto senza contare su grandi risorse, «il ministero di Grazia e Giustizia promise un finanziamento di 2mila lire e ci vollero anni per averlo». Il tutto, mentre Gallarate (il titolo di città era del 1860) era impegnata contestualmente in grandi progetti civili (come l’ospedale, progettato da Camillo Boito) ma soprattutto ecclesiastici (la Basilica, ma anche la nuova chiesa di San Francesco). Fu forse per questo che il comitato “laico” ebbe la strada spianata per intervenire su un edificio religioso: «Dagli archivi non emergono in effetti contrasti particolari tra il Comitato e la parrocchia o la diocesi, se non per quegli elementi che erano direttamente legati al culto». Così l’oratorio di San Pietro – pur rimanendo una chiesa cattolica a tutti gli effetti – è diventato anche un simbolo civile della città.
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