Il futuro della cooperazione internazionale

Forum sulla cooperazione internazionale a Milano. È intervenuto anche il premier Mario Monti, con il ministro Riccardi e altri esperti del settore che hanno fatto il punto della situazione e analizzato le prospettive future

Venticinque anni, portati male. È l’età dell’attuale legge sulla cooperazione internazionale, che ha visto la luce nel 1987. Dire che il mondo è cambiato, fuori e dentro l’Italia, in questo quarto di secolo, è un eufemismo. Per la cooperazione ripensare agli anni ’80 è come fare riferimento ad un’era geologica fa. Il muro di Berlino non era ancora caduto, lo scacchiere planetario obbediva stancamente agli equilibri della Guerra Fredda e i progetti di sviluppo rispondevano essenzialmente alla logica della relazione d’aiuto, quando non dell’assistenzialismo vero e proprio.

L’inadeguatezza di una legge così preistorica è lo specchio della scarsa considerazione riservata alla cooperazione internazionale nel ventennio del berlusconismo, ben misurabile dalla progressiva diminuzione di risorse impiegate dall’Italia. Ad oggi il volume totale non raggiunge lo 0,15%  in rapporto al PIL, lontanissimo dallo 0,7% promesso in sede  OCSE e UE. Meno di quanto stanziano Grecia e Spagna, i paesi più colpiti dalla crisi. Un circolo vizioso che al disimpegno economico aggiunge la mancanza di un quadro normativo adeguato, rischiando di paralizzare un settore ritenuto invece sempre più strategico in politica estera da diversi paesi europei, che destinano in media all’Aiuto Pubblico allo Sviluppo (APS) lo 0,46% del PIL.

Tra le sue priorità, il governo Monti ha considerato fin da subito necessario mettere in campo iniziative per cercare di invertire la tendenza e ridare prestigio e credibilità all’Italia sulla scena mondiale. Ne è dimostrazione l’istituzione del Ministero per la Cooperazione Internazionale, novità assoluta tra i dicasteri italiani, che ha promosso a Milano per il 1 e 2 Ottobre il Forum della Cooperazione Internazionale.

Con un titolo attento a cercare di darsi un’aria movimentista – Muovi l’Italia, cambia il mondo -, il Forum ha chiamato a raccolta tutti i soggetti della cooperazione di oggi, nel tentativo di abbozzare un percorso il più possibile partecipato.

A certificarne l’importanza la presenza, oltre che del sindaco di Milano Giuliano Pisapia a fare gli onori di casa, dello stesso premier Mario Monti e di un lungo messaggio video del Presidente Giorgio Napolitano.

Il Ministro Andrea Riccardi, nel presentare l’iniziativa, scrive:

 

Ci si è chiesto se possiamo permetterci, in un momento di crisi, di preoccuparci degli altri. Ebbene, io ritengo che la cooperazione non è un lusso al di sopra delle nostre possibilità, ma una delle strade per uscire dalla crisi. Fare cooperazione è nell’interesse di noi tutti […] è un investimento per il nostro futuro.

 

Difficile dargli torto, ma andrebbe chiarito dove saranno reperite le risorse per dare respiro ad un settore in evidente asfissia. Il sospetto che si punti ad inserire anche la cooperazione tra i settori da privatizzare, delegando alle aziende l’onere e l’onore di sostenerne i costi, non è infondato.

Lo stesso Forum ha scelto senza troppi scrupoli sponsor ingombranti come Eni, non proprio un esempio nel rispetto dei diritti di sovranità sulle risorse (acqua, terra, risorse estrattive) dei popoli indigeni, Microsoft e Banca Intesa. La cosa ha suscitato non poche polemiche e alimentato una serie di dubbi. Qual è la strategia del governo? Valorizzare e sostenere il lavoro delle oltre 260 Organizzazioni non Governative riconosciute in Italia, che impiegano 30.000 persone e mobilitano più un miliardo di euro l’anno? Oppure promuovere gli interessi commerciali delle nostre aziende all’estero travestendoli da aiuti umanitari?

È vero che la cooperazione non è più agita solamente dai governi e dalle organizzazioni non governative, ma anche dagli enti locali e dalle aziende, tanto in maniera diretta che indiretta. La molteplicità degli attori e degli interessi di per sé è un fatto positivo, ma richiede a maggior ragione un ruolo autorevole da parte dello Stato, a livello normativo e di distribuzione delle risorse.

C’è modo e modo per occuparsi di sviluppo. Molti attori non profit, ad esempio, affiancano al proprio lavoro nei paesi del Sud del mondo una costante attività di informazione, educazione e sensibilizzazione in Italia. In altre parole cercano di favorire un cambiamento culturale, insegnando a bambini, giovani e adulti che la realtà può essere osservata da diversi punti di vista e che la povertà ha radici che ci coinvolgono e chiamano in causa i nostri comportamenti. Educare ad una cittadinanza mondiale, in cui si condividono diritti e responsabilità a livello planetario, è uno degli aspetti più interessanti della cooperazione internazionale, poiché ne esalta lo spirito di collaborazione in vista di progetti e obiettivi comuni.

Solo così può davvero diventare, come scrive Riccardi, una delle strade per uscire dalla crisi.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 02 Ottobre 2012
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