La storia del burattinaio che viene dal Polesine
Rimes Ferracini, premiato dall'associazione "Polesani Nel Mondo", raccontato da suo figlio Elis che ha ereditato da lui la passione per il teatro dei burattini con l'Allegrabrigatasinetema
La biografia del proprio padre è impresa ardua, affettiva, di tentativo di ricostruzione e un po’ anche autobiografica. E’ come provare a ridurre in scritto una umanità, tentare di riprodurre un modello. Rimes lascia il Polesine nel ’53. Per amore. Aveva conosciuto prima del servizio militare Tomanin Mafalda, figlia bustese di una prima migrazione dei Tomanin/Zorzan di Polesella (gira e rigira il mondo come il cuore, ma poi si torna lì) all’indomani del ventennio di dittatura. Mio padre lascia una terra che ha sempre portato con sé, nei gusti, nel suo cattivo rapporto con le doppie, e in quella cultura che è modo di stare al mondo, comportarsi.
Se ne andò per amore, perché Mafalda era “zitadina” di una Busto industriale che agli occhi di un giovane poteva essere emanciparsi dai tempi della terra, per scoprire che a scandire il tempo non erano più stagioni, o albe e tramonti, ma sirene. Non sarebbe stato facile per nessuno partire da “foresto” in mezzo ad un altro modo di interpretare il tempo, il lavoro, la vita…e allora il ricordo si fa racconto, per tracciare un filo, per lasciare una eredità profonda come il solco dell’aratro.
Canaro. Quel Polesine affacciato a Ferrara, di un dialetto che fa già da ponte fra le due rive del Fiume. Uno sguardo alla sponda ricca, ma da lì, dalla sua Canaro(molti parenti avrebbero attraversato anche quello sradicamento e l’approdo sull’altra sponda dopo il disastro del ’51, ma lo sguardo da là sarebbe sempre stato rivolto alla riva polesana). Papà che tifava Spal e mangiava pinzini fritti, ma che ricorda e ci ricorda di una vita fatta di neve altissima, di sole rovente, di personaggi mitici del paese, il “gigante” Fultes Martel e il Gnefe (perché ogni comunità coltiva il proprio Giufà, e altri ancora), di cui, come canta Guccini ne il Vecchio e il Bambino “mi piaccion le fiabe raccontane altre”, non si chiede veridicità, tarnne poi incrociare parenti e accorgersi che quelle storie erano tutte intensamente vere, come scoprire la storia di Ciciola, il suo affettuoso maialino d’accompagnamento che si comportava da cane, ma con un destino -ahimé- da salame; ricorda Canaro e la Ca’Longa, cercata anche qua nelle case dei frequenti traslochi, nei tentativi di rifare pancette e salumi, ma poi ammetersi che “si sente che qui la carne è diversa, c’è un’altra aria”.
La Ca’ Longa, la casa della sua infanzia, di una famiglia di “fittavoli” che era talmente allargata da contare 40 persone. Una comunità, con ruoli di produzione ben definiti, come i ruoli dell’intrattenimento, in quei tempi “morti”, rari ma intensi che la campagna consente, in quei tempi di “cose povere” ma concrete, tangibili, reali, di tutti. E i nomi dei coabitanti della Ca’Longa, nomi salgariani, (forse lo zio narratore aveva ruolo di “nominatore”) come Miris, Oler, Filmer, Nadir, Mendes…Rimes. E fra i tanti ruoli c’erano anche i suonatori sull’aia e chi, una volta salvato e accolto un burattinaio sfollato per la guerra da Ferrara, impara l’arte dei burattini…solidarietà (durante la guerra diversi liberatori trovarono rifugio alla Ca’Longa) e arte…L’impegno civile, per gli altri, come la dedizione alla famiglia ed il rigore sul lavoro, avrebbero sempre accompagnato mio padre e negli anni ’70, all’arrivo del terzo e ultimo figlio, io, fu colto da un “dàimon” direbbero gli antropologi: recupera in un regalo fattomi a Natale -una muta di burattini- un’antica (mai sopita?) passione, o forse un altro modo di raccontare la sua terra, le sue storie, lasciare un testimone eterno, di legno. E dall’alto della sua quinta elementare, ma da una laurea “honoris causa” consegnatagli dalla vita, scrive, dipinge, racconta, anima scolaresche.
Cominciamo in quegli anni, per passione gratuità, anni che avrebbero consegnato alla storia del teatro per ragazzi italiano nomi di illustri compagnie ancora ogi in auge, a girare per parrocchie, feste dell’Unità, piazze col “Teatrino dei bambini che vuole sorrisi non soldini” e le maschere, di nuovo, sono di quella terra che dialoga con l’altra sponda: Fagiolino, Sandrone, la Pulonia, Sganapino…una terraferma radicata, che guarda in avanti al fiume e non alla Domina Venezia, o forse fu il loro burattinaio formatore ferrarese a dare l’imprinting teatrale. Poi, più in là, la mia scelta di far diventare la passione professione (croce e delizia, stare nelle contraddizioni…è un’arte difficile); sono arrivati premi e riconoscimenti nazionali, collaborazioni universitarie, passaggi televisivi e una ricerca che è cultura, che è coltivare, stare in un solco e far crescere di nuovo e di nuovo…e mi padre era lì, e lo è ancora, a dare nuova forma al legno, e io darne voce e movimento…classe 1929…il corpo porta i segni del tempo.
Lo spirito rimane lì fermo e preciso, come la memoria che alla sua età fa riaffiorare in maniera ancor più potente quelle immagini formative, perché danno forma a chi sarà adulto, a quel giovane che andava in slittino sul ghiaccio sferzato dal vento d’inverno, e giù per i canali d’estate. Ricorda, ci ricorda non perdendo ocasione di mostrarci la foto appesa in sala di quel popolo che era la casa della sua infanzia, della Ca’Longa, di Canaro, del Polesine…consegnando a questo mondo spesso avaro e senza terra, se non rubata distrutta, soprattutto l’insegnamento che fu anche di Rodari: “quel che va fatto va fatto, sempre, senza perdere la speranza”…è un tratto distintivo di umanità, che ci portiamo dentro,con impegno e fatica, questa eredità, è questa polesanità che riconosci quando si riincontrano persone e si riattraversano terre. Comunità omogenee, aperte, coerenti e disponibili, come è sempre stato mio padre.
NOTA BIOGRAFICA – Rimes nasce nel 1929 a Canaro in una famiglia allargata di fittavoli.
Erano in quaranta, i grandi, una ventina a lavorare faticosamente la terra, i piccoli a crescere liberi e felici fra campi e giochi di cortile. Gli rimangono per sempre nella memoria i ricordi della Ca’ Longa dove, dopo una giornata di duro lavoro il tempo dello svago e del divertimento erano le serate passate nella stalla ad ascoltare incantati i racconti dello zio, narratore di storie e di mondi fantastici .
Uno zio importante, dominatore, girovago, lettore dei romanzi di Salgari, ispiratore di nomi insoliti e affascinanti a cui le mamme chiedevano aiuto per chiamare i figli, Miris, Oles, Filmer, Nadir, Mendes, Rimes e altri.
La Ca’ Longa dà ospitalità ai rifugiati del tempo di guerra e uno di questi, che viene di là da Po, da Ferrara, insegna a Rimes l’arte di fare i burattini. Arriva l’alluvione del 51 che costringe Rimes a cercare lavoro altrove. Lo fa a Busto Arsizio dove approda nel 53 a cercare la Tomanin Mafalda, figlia di prima migrazione dei Tomanin /Zorzan di Polesella, la sposa nel 54 , trova qui lavoro da autista che manterrà fino alla pensione. Nascono tre figli, Fabio nel 56, Nadia nel 60, Elis nel 66. E’ con la nascita di Elis che Rimes recupera in soffitta una muta di burattini, e l’antica passione e il modo di ricordare ancora e sempre la Ca’ Longa. Comincia a girare per le scuole, per gli oratori, per le feste dell’ Unità , a organizzare spettacoli, con passione e gratuità, facendo rivivere le maschere di quella Canaro che guarda l’altra sponda, quella ferrarese, da cui venne quel burattinaio che gli diede l’imprinting teatrale.
Intanto cresce Elis si nutre della passione di Rimes lo segue, gli ruba l’arte, diventa lui eclettico burattinaio.
La svolta nel 1990 quando l’ Allegra Brigata, fondata da Elis (foto a destra), oggi associazione culturale premiata e riconosciuta per il suo alto valore formativo, continua a far rivivere le maschere polesane create da Rimes: Fagiolino, Sandrone, la Pulonia, Sganapino e la terra e i ricordi della Ca’ Granda di Canaro, Polesine ,di Rimes, classe 1929 da Ca’ Longa di Canaro, quinta elementare ma “Laurea honoris causa” datagli dalla vita, usandone la sapienza, l’onesta dei propositi , l’esperienza,l’arte di scrivere, animare dipingere incantare grandi e piccoli. Ancora oggi Rimes, col corpo che porta i segni del tempo ma con spirito e memoria fermi e precisi rivive la sua memoria nell’arte del figlio. Senza di lui non ci sarebbe oggi l’ Allegra Brigata , diventata associazione culturale, che miete successi e riconoscimenti, ha dato vita e vigore alle sculture di Rimes, vere opere d’arte,
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