Un illusionista chiamato Umberto Bossi
Implacabile e duro il ritratto del libro scritto da Travaglio, Corrias e Pezzini per Chiarelettere sulla “ascesa e caduta” del Senatùr
“Umberto Bossi ha avuto tre vite. La prima uno spasso, la seconda un trionfo, la terza una tragedia”.
Scritto così, in poche righe, l’attacco traduce in sintesi e compimento l’intero libro firmato a sei mani, L’illusionista, Chiarelettere, da tre giornalisti di spessore: Pino Corrias, Renato Pezzini, Marco Travaglio. Un testo denso di particolari che non ha il conio di un instant book: più che altro sfogliando le pagine si respira il registro dei ritagli di cronaca politica vissuti da tre giornalisti che hanno seguito sul campo le vicissitudini di un leader.
Il libro è impietoso, per certi versi anche cinico. E lo è nel tradurre in lettere l’immaginario di un capo che del “fare e disfare” ha fatto il suo metro di una strategia che lo ha portato alla fine degli anni ’80 alla creazione di un partito decisivo negli equilibri politici nei decenni successivi. Un partito che ha condizionato le sorti del Paese.
Il fare e disfare comincia nella bassa provincia, con le nebbie e le bocciofile e le orme di un uomo che alla soglia dei quarant’anni non ha concluso molto: non una laurea, rimandata di continuo con feste farsa, non un lavoro vero e proprio. Poi l’incontro che gli cambiò la vita: Bruno Salvadori dell’Union Valdotaine, l’autonomismo, i discorsi sul federalismo, le prime riunioni e gli incontri con Roberto Maroni a Varese, nel 1981. Proprio quel Bobo che, da gregario, divenne poi trent’anni dopo e alla fine della storia il principale interprete della Lega. Qui ha inizio il periodo di grande ascesa di Bossi, dei “500 libri letti in pochi mesi”, e, soprattutto, della prima vittoria elettorale del 1987 che lo catapulta assieme a Giuseppe Leoni in parlamento. Quel parlamento romano che abiterà per i decenni a venire: scranno di governo e di opposizione, cavallo di Troia, alla bisogna, per riforme promesse e l’attacco alla Roma ladrona.
Il libro tocca tutte le tappe successive che riguardano il Senatùr: il periodo di Miglio e l’incontro con Berlusconi, il fraseggio con D’Alema, l’invenzione della Padania e la ricerca delle radici celtiche. E il 2004, tappa fondamentale che segnò per la vita il Capo. La malattia, il cerchio magico, il potere che lo stanca e il declino, con gli scandali e la rivoluzione all’interno del movimento.
Il libro si legge con velocità ed è costellato qua e là da episodi spesso dimenticati nelle pieghe delle cronache politico mondane: vedi il matrimonio celtico di Calderoli, “che avviene in una villa di Grumello Cremonese il 20 settembre 1998” il un “clima da commedia in costume: ci sono le candele. I tendaggi. Le anfore col sidro. I i bracciali che gli sposi dovranno offrirsi a vicenda come pegno d’amore”.
Oppure le parole, ruvide come carta vetrata, che gli autori dedicano ad altri personaggi che hanno costellato la vita della Lega, e inevitabilmente del suo capo, vedi Irene Pivetti, terza carica dello Stato dopo le elezioni del 2004, fotografata da presidente della Camera vandeana che indossa “abbottonati tailleur” salvo poi “svelarsi nella vita successiva quando, dalla politica che l’ha riverita e anche annoiata, Irene passerà direttamente alla tv indossando non più i tailleur bianchi della graziosa mangiatrice di confetti, ma il latex nero, aderente e lucido della mangiatrice di uomini in certi memorabili contenitori dedicati alla chirurgia plastica e poi direttamente al sesso”.
Episodi secondari, si dirà. Ma non del tutto nella costruzione della figura di Umberto Bossi, che secondo gli autori è un venditore di miraggi, uomo capace di “vendere” il suo prodotto: un’identità culturale discutibile, poi un improbabile progetto secessionista, e ancora un federalismo incompiuto. Illusionista? Sì secondo i tre autori.
Ma è aggettivo pesante alla luce di un dato inopinabile che nel libro a prima vista sfugge: i voti a Bossi saranno stati anche frutto di un’illusione, ma che tuttavia parte da un dato incontrovertibile, volano della richiesta di rappresentanza di una “questione”, quella settentrionale, ben lungi dall’essere evasa. Per questa, la bacchetta magica forse non è ancora arrivata e chissà cosa ci riserverà.
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