Choosy? Sì, ma con buone idee
Opinioni a confronto su come sta cambiando il mercato del lavoro. La crisi chiude davvero le porte ai giovani?
Choosy, schizzinosi. Davvero è questo l’approccio dei giovani di oggi al mercato del lavoro? O forse insistere per trovare un lavoro che piace è qualcosa che contribuisce alla costruzione di una migliore qualità della vita? Anche di questo si è parlato ieri nel corso dell’incontro "Oltre la crisi" promosso da Acli Varese, Fondazione la Sorgente Onlus e Università dell’Insubria. «Le suggestioni che emergono dai nostri lavori di ricerca – spiega Alfredo Biffi, docente del Dipartimento di ecnomia dell’ateneo – ci dicono che oggi come non mai c’è bisogno di idee. Facilmente concretizzabili ma comunque di novità, di rottura col passato. Per una volta lasciamo stare i dati che fotografano una situazione superata e concentriamoci sul presente: quando pensiamo alle nuove opportunità di lavoro dobbiamo farlo dimenticando gli stereotipi, in una logica di discontinuità. Nel caso specifico, della cura delle persone ad esembio, abbiamo individuato moltissimi bisogni. Lì si collocano le nuove possibilità di impiego costruite sulle diverse necessità dell’individuo e delle persone che gli ruotano attorno». La crisi, per il professor Biffi, non chiude le possibilità ai giovani, anzi: «Occorre sostenere nuovi approcci mentali: dobbiamo riportare le persone a convincersi che sono loro a crearsi il proprio futuro professionale. Devono pensare a questo, essere attivi e non pensare che gli altri costruiscano la propria carrierra».
"Essere imprenditori di se stessi", un’espressione che ricorre spesso di questi tempi. «Uno stimolo interessante è vero – ha commentato Lelio Demichelis, sociologo e professore dell’Insubria -. Trovo che sia giusto puntare sulle capacità e il talento degli individui ma attenzione, il singolo da solo non produce nulla. Se non si coopera con gli altri, se non si ha un contesto sociale è difficile riuscire ad andare avanti. Caricare tutti i rischi sul singolo inoltre è pericoloso e inefficiente. Purtroppo abbiamo disimparato la collaborazione, la nostra società è basata sull’individualismo mentre occorre sempre di più recuperare i valori di condivisione. Pensiamo al modello della rete e di internet che vive di condivisione, di ciò che viene messo in comune». Qualità del lavoro e qualità della vita per Demichelis vanno di pari passo: «Dobbiamo riflettere sul modello di lavoro che vogliamo inseguire: veniamo da vent’anni di interventi che hanno confuso la flessibilizzazione del lavoro con la precarizzazione. Precarizzazione significa meno qualità del lavoro e di cosneguenza meno qualità della vita. In queste settimane il governo sta ragionando sulla produttività del lavoro. Dal 2009 in Italia è diminuita dello 0,9 per cento all’anno. Perché? Ci sono tesi diverse: il costo del lavoro alto, le imprese troppo piccole, poca innovazione. Ma si può dire che dipende anche dal modello? Precarietà non va d’accordo con stimolo a migliorare la qualità. In Italia c’è il 35 per cento di disoccupazione giovanile, solo nella vicina Svizzera 3,5 per cento. Che cosa è successo? Forse abbiamo sbagliato qualche cosa».
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