Lo sciopero dei giornalisti è sacrosanto
I partiti hanno acuito la drammaticità della situazione nazionale innescando questa pazzesca battaglia contro la stampa
Per la verità non accade spesso, ma quando i giornalisti scioperano ecco che, adducendo disparate motivazioni, spuntano crumiri della categoria, istituzioni di riferimento, editori, intellettuali distratti,colf dei poteri che si stracciano le vesti– lo spettacolo dello strip a volte è desolante- tutti insieme a dire che così non va, a trovare o contrabbandare cavillosità etiche nel nome del diritto all’informazione della collettività. È andata e sta andando così anche questa volta.
Lo sciopero dei giornalisti è sacrosanto perché è a motivata difesa del diritto a una informazione sulla quale non incomba il cappio del carcere per il reato di diffamazione.Anche la buona battaglia viene criticata: ecco puntuale la pioggia di insani consigli, prese di distanza, invocazioni di intensità e scopi vari. Insomma si è quasi riusciti a mettere in sottordine, l’incredibile legge del Senato confezionata ad arte da politici sempre meno credibili. Una legge rancorosa, vendicativa, la sola in Europa che preveda il carcere per giornalisti diffamatori e come tale nel mirino delle istituzioni sovranazionali. Una legge della vergogna per un ramo del Parlamento che nelle sue decisioni dovrebbe sempre manifestare senso della misura, della legalità, saggezza, grande cultura giuridica.
I partiti, dopo aver mostrato massima cura per se stessi e sbalorditive capacità di difesa dei loro privilegi, hanno acuito la drammaticità della situazione nazionale innescando questa pazzesca battaglia contro la stampa.
Non credo che basterà uno sciopero per far valere le nostre ragioni, sarà importante rispondere anche e con forza sul piano culturale. Personalmente aggiungerò una risposta, un percorso che danno concretezza, sia pure infinitesimale, arcimicroscopica, al dissenso: a marzo non voterò per il Senato. Istituzione così come è rappresentata e interpretata oggi che non era nel progetti dei padri della Repubblica.
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