Monti è come il metadone. Ma c’è una via italiana per rinascere
Il sociologo Francesco Morace (Future concept lab) ospite del Gruppo giovani imprenditori di Univa alla Liuc. «Ci dobbiamo disintossicare, non c'è più posto per la furbizia»
«Questa non è una crisi, ma è una transizione, la storia non striscia ma salta. E quando cambia un paradigma, cambia per i prossimi trent’anni». Francesco Morace, sociologo e creatore insieme a Linda Gobbi del Future concept lab, laboratorio che studia le tendenze dei consumatori nel mondo, non ha idea di cosa succederà nei prossimi 5 anni, però sa qual è la direzione da prendere. E i giovani imprenditori di Univa sono andati alla Liuc ad ascoltarlo (non numerosi, purtroppo) proprio per questo motivo.
Morace la chiama «Italian way», cioè un modo italiano di fare le cose che non ha eguali al mondo. Una via che però è stata considerata da sempre piena di buche: il nanismo, ovvero la piccola dimensione; la gestione famigliare, preferita a quella manageriale; la vocazione al manifatturiero. «Sono falsi problemi – ha spiegato il sociologo – a partire dalle dimensioni, perché il problema non è essere piccoli o grandi, bensì essere aperti o chiusi. Nella gestione è meglio che prevalga un sistema misto dove la famiglia è un valore perché ha la visione e i manager possono affiancarla. Infine, il mondo vuole gustare e avere prodotti italiani, quindi la nostra vocazione è il manifatturiero».
Non è l’elogio delle nicchie, che con il tempo «rischiano di diventare loculi». E tantomeno del lusso che è un eccesso per definizione e piace tanto ai nuovi ricchi, soprattutto a cinesi e russi. Secondo Morace, al lusso, che è sempre calato dall’alto (specificità tutta francese), bisogna preferire «il gusto italiano», quello che nessuno puo’ imitare perché è il risultato di una cultura che viene dal basso, costruita nei secoli nelle botteghe artigiane rinascimentali, nelle piazze antiche, nell’architettura originale e irripetibile dei comuni italiani. Un portato di bellezza che si è sedimentato nell’immaginario collettivo, capace di stimolare la creatività imprenditoriale perché attinge al bello quotidiano vissuto dal popolo. Tutto questo c’è già «basta solo tirarlo fuori, con un esercizio di maieutica» suggerisce il socratico Morace.
Roberto Caironi, presidente dei Giovani industriali, in apertura dell’incontro, si è chiesto cosa serva al Paese in questa fase così delicata. Secondo il sociologo, se le cose vanno come vanno, non è un problema di politica o di sistema. «Monti è come il metadone, serve per disintossicarci dalla storia d’Italia. Una medicina necessaria per riportare al centro il bene comune, perché oggi nel mondo che è già cambiato la furbizia non paga più, ma serve un cambio di mentalità».
Occorre, dunque, darsi nuove regole, recitare un sano «mea culpa», stabilire una nuova rotta, mettendo al centro del sistema alcuni valori come: lealtà, condivisione e coraggio. Non parole vuote, ma un esercizio di consapevolezza vero, sentito, che poi è ciò che fanno le aziende di successo. Sono tante, più di quanto si pensi, sparse in ogni parte d’Italia: da est a ovest, da nord a sud. Morace ha raccolto alcuni di questi casi «felici» nel libro “L’impresa del Talento” (Nomos Edizioni), un viaggio nei territori creativi delle aziende italiane. «Il momento è difficile – conclude Morace – ma ciò che fa la differenza è il modo in cui l’affronti».
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