Dentro il carcere di Busto, dove ogni uomo vive in tre metri quadrati

Dopo la condanna al nostro Paese, l'eurodeputato Lara Comi ha chiesto di poter visitare la casa circondariale di Busto che, per la prima volta, è stata aperta anche alla stampa. Un viaggio tra camere sovraffollate, spazi carenti e personale ridotto all'osso.

Quando è stato costruito, nel 1984, il Carcere di Busto Arsizio era un piccolo gioellino. Celle da 9 metri quadri per ogni detenuto, camere singole con bagno e cucinino. Solo la doccia era esterna e, per ognuna delle quattro sezioni, ne sono state progettate quattro. Con il passare del tempo e l’apertura di Malpensa, però, dai 167 posti iniziali la popolazione detenuta è cresciuta. La soluzione adottata è stata quindi quella di aumentare i posti letto per ogni cella, facendo crescere di un “piano” ogni letto. Ma con l’inasprimento delle leggi degli ultimi anni i detenuti sono aumentati ancora e così i letti a castello oggi hanno raggiunto il terzo piano. Questo significa che oggi, per ogni cella da 9 metri quadri, i detenuti sono saliti a 3 con tre metri quadri pro capite. Troppo pochi per la Corte Europea dei diritti dell’Uomo che ha quindi condannato il nostro Paese.
«Oggi abbiamo ancora un tasso di sovraffolamento del 240% -spiega il direttore del Carcere, Orazio Sorrentini -quando la media dello stato europeo con maggiore sovraffollamento, la Serbia, è del 170%». Ma il dover condividere lo spazio per uno in tre è solo la punta dell’iceberg di una situazione estremamente complessa. Il problema potrebbe infatti essere “aggirato” lasciando i detenuti in cella solo per la notte ma «non abbiamo il personale per garantire la sicurezza di un aumento dell’ora d’aria», spiegano le guardie. E così la maggioranza dei 393 detenuti che, ad oggi, sono all’interno della struttura infatti hanno solo quattro ore d’aria al giorno: dalle 9 alle 11 e dalle 13 alle 15. Tutto il resto della giornata, 20 ore, lo passano all’interno delle loro celle.

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Solo in una delle quattro sezioni le serrature  rimangono aperte anche durante la giornata. Si tratta di un’area che contiene parte dei 175 condannati in via definitiva e che avrebbero diritto a tutto quello che riguarda la rieducazione e il reinserimento sociale. «Il primo marzo io sarò qui da 8 anni» spiega Mauro, fine pena nel 2025. Lui è uno dei pochi che in cella non ci sta molto tempo perchè «adesso lavoro in cioccolateria e fino a qualche anno fa ero nelle cucine» riuscendo anche a guadagnare qualcosina. Ma non tutti sono “fortunati” come lui. «Molti stanno qui per tutta la giornata, giocano a carte, chiacchierano, guardano la tv». Rieducazione o inserimento al lavoro sono parole che non tutti sentono spesso. E il problema, ancora una volta, riguarda il personale. Nella struttura di Busto, infatti, è presente un solo educatore che deve cercare, vagliare e proporre soluzioni alternative ai detenuti. Un’evidente sproporzione che costringe «a fare delle scelte, a concentrarci solo su chi ha maggiori possibilità di inserimento». Ma il problema supera anche i muri del carcere per raggiungere le aule giudiziarie. Ci sono infatti due soli magistrati di sorveglianza per tre strutture detentive (Busto, Varese e Como) per un totale che supera il migliaio di detenuti.

Un piano per le attività, comunque, c’è e funziona bene con l’apporto e la passione di molti operatori proponendo corsi di alfabetizzazione e di informatica, lezioni di diverse discipline oltre ad una palestra e la biblioteca ma non è sufficiente. «Ci mancano gli spazi fisici per implementare le attività», spiegano i poliziotti e questo si rende evidente anche «nella gestione degli spazi esterni per l’ora d’aria».
La situazione di difficoltà che ha evidenziato la Corte Europea con la sua condanna, tuttavia, non è ancora risolta. Per cercare una soluzione, da un lato Lara Comi si è impegnata a portare all’attenzione del Consiglio Europeo la delicata situazione con l’indicazione di qualche via d’uscita e dall’altro il direttore Sorrentini ipotizza uno sfollamento della popolazione carceraria di almeno 100 unità per riportare la situazione sotto controllo ed evitare altre, inevitabili (ed onerose) condanne di risarcimento. 

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 11 Gennaio 2013
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