“L’uomo più potente del mondo ha bisogno del contadino”
Michele Satta, enologo varesino trapiantato in Toscana, è il "padre" del vino scelto da Obama per festeggiare il compleanno della moglie Michelle. «Nel mondo globalizzato, si può fare strada con un prodotto iper-locale»
Nell’era della comunicazione, di Barack Obama si sa quasi tutto. In questa totalità ci sono anche, naturalmente, le preferenze gastronomiche anche per via della passione della moglie Michelle che ha imposto la presenza di un orto alla Casa Bianca. Del presidente invece si sa che ama la birra e la produce in casa: la ricetta della The White House Honey Ale è stata anche messa a disposizione di ogni homebrewer. Ma per le occasioni ufficiali Obama predilige il vino: più precisamente, il vino di qualità e italiano. La conferma è arrivata pochi giorni fa, quando il presidente ha festeggiato il compleanno di Michelle cenando con alcuni amici al Café Milano di Washington, uno dei capisaldi della nostra cucina negli Stati Uniti.
Per accompagnare le portate della tradizione tricolore – mozzarella di bufala, fusilli alla genovese, cernia, tagliata di manzo… – Obama ha scelto due vini italiani: un rosso astigiano (Barbaresco “Tufo blu” della cantina Col dei Venti) e un bianco toscano su cui ci soffermiamo in modo particolare. Il “padre” del “Costa di Giulia” è infatti un enologo nato e cresciuto a Varese, Michele Satta, che ormai da molti anni è emigrato a Bolgheri dove è divenuto uno dei più apprezzati produttori di una zona ad altissima vocazione vitivinicola. Satta è un cognome noto ai gourmet non solo per le bottiglie: in Valcuvia è infatti rimasto a operare il fratello di Michele, Paolo, di cui vi abbiamo spesso parlato per via dei suoi prelibati formaggi di capra a marchio Aristeo.
Satta è appena tornato da Hong Kong, dove ha accompagnato l’importatore locale in un tour dei ristoranti che servono i suoi vini, è rientrato in Italia e ci parla al telefono mentre sta per arrivare nella sua Bolgheri, tra quei filari che rappresentano la scommessa di una vita. Vinta con caparbietà, sacrificio e massima professionalità. «Da un lato sono molto contento per quello che è accaduto – racconta – dall’altro sento una sorta di inquietudine per come va il mondo. Fa notizia il potente che beve un vino ma spesso non ci si chiede come e perché lo ha scelto… Io ovviamente sono felice, non solo per un mio successo personale ma perché ritengo che quello di Obama sia un riconoscimento per il livello raggiunto dal vino italiano. Il mondo si conferma un gigantesco mercato, dove l’eccellenza proviene spesso dal nostro Paese e il fatto che l’uomo di maggior potere sul pianeta abbia fatto questa scelta deve dare ai nostri produttori orgoglio, ma anche responsabilità».
Satta fa anche un’altra considerazione molto interessante: «È curioso che proprio in nome della globalizzazione venga premiata una piccola azienda che ha scelto di essere locale: la mia battaglia è stata proprio quella di creare prodotti ben determinati e legati al territorio. Una logica e un meccanismo opposti rispetto a chi produce miliardi di “pezzi” per essere riconoscibile ovunque, eppure una mossa vincente. La dimensione mondiale non fa per forza perdere la propria identità, anzi è forse il modo per comunicarla meglio».
La rivalsa della terra sulla grande pianificazione? «Piuttosto – prosegue Satta – una specie di rivincita del contadino che troppo spesso è visto come “pezzente” e che invece diventa la persona in grado di rispondere al bisogno di piacere dell’uomo più potente del mondo. Il gusto di ognuno di noi è unico e Obama non fa eccezione: affinando l’identità del proprio prodotto, del proprio vino, è possibile colpire le corde dell’emozione delle singole persone. Chiunque esse siano».
Il vino scelto da Obama si chiama “Costa di Giulia” (per questo, tra i clienti c’è anche Julia Roberts che si serve in un negozio di Los Angeles…) ed è l’ennesima scommessa portata avanti negli anni da Satta: «La Toscana è famosa per i grandi rossi ma io ho sempre pensato che, se la natura è stata così generosa con questa terra, poteva esserlo anche per un bianco di alta qualità. Così, nel corso del tempo, sono arrivato a trovare questo blend in cui sono uniti un vitigno tradizionale e autoctono come il vermentino e un nobile francese come il sauvignon (65%-35% il loro rapporto ndr) che danno vita a un bianco elegante, importante e appunto toscano, aggettivo territoriale comunque sempre molto apprezzato. Sono orgoglioso di essere riuscito a produrre questo vino tanto che, quando promuovo le degustazioni, è il secondo che propongo dopo il sangiovese (il “Cavaliere”, prodotto di punta della cantina di Satta ndr)».
Curiosamente, Obama non ha certo scelto il vino più costoso tra quelli prodotti da Michele a Bolgheri ma l’enologo varesino non accusa certo il presidente di taccagneria. Piuttosto trova il modo di ribadire un concetto importante per tutti i consumatori: «Non è necessario portare il cliente a livello di collezionismo per farlo bere bene. Sono convinto che per un grande rosso si può spendere tra i 30-35 euro, per un bianco anche meno: io vendo una bottiglia di “Costa di Giulia” a 15 euro, al ristorante la si può trovare intorno ai 20-22 e assicuro che la qualità e la soddisfazione sono davvero alte. Nel caso di Obama, dopo quella serata mi ha telefonato il sommelier del Milano Café che lo ha servito personalmente. Mi ha confessato che avrebbe voluto proporgli un altro mio bianco che purtroppo non è ancora sul mercato americano». Chissà dunque che il presidente lo possa degustare in futuro: «Me lo auguro, anche perché gli Stati Uniti sono in questo momento il posto più interessante per i produttori come me: è il mercato extraeuropeo più preparato dal punto di vista culturale. L’appassionato americano sa riconoscere la storia e la cultura che sta dietro a un prodotto ricercato».
In Toscana ormai da una vita, Satta ha poco tempo per tornare a Varese anche perché il lavoro in vigna è totalizzante. Ma non per questo ha dimenticato le origini: «Al di là dei legami familiari, rimango molto legato alla nostra provincia e innamorato di certi scorci ambientali. Certo, il Varesotto è un territorio che più di ogni altro ha pagato il salto dall’agricoltura all’industria ed è anche un po’ distratto rispetto alle tematiche del primo settore. Però una delle mie passioni segrete riguarda proprio Varese e dintorni: tra i miei sogni c’è quello di provare a far nascere un vino importante con metodo classico. Per il momento non ho ancora un progetto al di là di qualche contatto che avevo avuto con l’Università di Milano; ho però il desiderio di creare qualcosa nella mia terra d’origine. Per ora mi limito a qualche degustazione con i miei vini e con i formaggi di mio fratello Paolo, davvero strepitosi. Ma se la salute mi assiste e se trovo la copertura finanziaria, prometto che ci proverò».
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