La Turchia è una piccola Cina a due ore di aereo
In Romania la banda larga funziona meglio che in Italia. In Serbia non ci sono dazi doganali per l'importazione dei materiali. I segretari delle camere di commercio dell'area balcanica e del mediterraneo hanno incontrato gli imprenditori varesini per spiegare le opportunità di business dei loro paesi
«Siamo una piccola Cina a solo due ore di aereo dall’Italia». Fatih Aycin, segretario della camera di commercio di Istanbul, elenca con una certa soddisfazione i numeri positivi del suo Paese: 62 milioni di utenti gsm, 35 milioni di persone che navigano in Internet, 46milioni di carte di credito e 400 canali tv, una popolazione in continua crescita e con un età media di 28 anni. «Abbiamo anche la benzina più cara al mondo – continua Aycin – ma il nostro reddito procapite continua a crescere dal 2008 e continuerà ancora perché nei prossimi dieci anni il governo turco ha deciso di investire 60 miliardi di euro». A Malpensafiere ci sono molti imprenditori del Varesotto venuti ad ascoltare le opportunità dei nuovi mercati, quelli ai margini dell’area euro: Romania, Serbia, Bulgaria, Turchia e Grecia. Alcuni sembrano sorpresi dalle notizie che arrivano dal «nuovo mondo». Adrian Dimache, segretario generale della Camera di Commercio di Bucarest, con una sola dichiarazione azzera tutti i luoghi comuni sull’arretratezza dei paesi dell’area balcanica. «La Romania – spiega Dimache – è tra i primi cinque paesi al mondo per velocità di trasferimento dati via internet e il wifi è gratuito ovunque. Un documento di 20 mega lo scarichi in un batter d’occhio. È per questo che alcuni marchi internazionali, leader nel settore informatico e delle telecomunicazioni, come Oracle e Orange, hanno scelto il nostro Paese». Le aziende attive in Romania sono circa 16 mila anche se ufficialmente ne risultano 32 mila, con presenze italiane di rilievo come Natuzzi, il marchio conosciuto in tutto il mondo per i suoi divani in pelle, e Unicredit, quinto gruppo bancario del paese. «In Romania c’è un forte know how – conclude il segretario generale – ma le filiere bisogna costruirsele da casa».
Gli imprenditori nostrani che hanno già fatto il salto nei Balcani sono tanti, come conferma Rosa Cusmano della Camera di Commercio di Sofia: «Sono 800 le imprese italiane presenti nel mercato bulgaro e nel 2010 l’Italia è stato il primo investitore straniero, anche se la Russia è il nostro mercato di riferimento».
Il mercato serbo ha invece una lunga tradizione di rapporti con l’Italia. Fin dal dopoguerra, infatti, le aziende automobilistiche italiane si sono insediate nella ex Jugoslavia e realizzato progetti di lungo periodo. «Yugo fu firmato da Pininfarina – racconta Oliver Lepori, segretario della camera di commercio serba -. Oggi alle imprese italiane, oltre a una manodopera qualificata, offriamo un sistema di agevolazioni come le esenzioni dai dazi doganali per l’importazione di materiali e ben 11 zone franche».
Il doppio significato cinese della parola «crisi», «pericolo» e «opportunità», è stato il tormentone degli ultimi quattro anni, un mantra per esorcizzare gli effetti del terremoto che ha devastato l’economia globale. Tanto che nel momento più buio della recessione si sono sentiti ben pochi esempi relativi alle opportunità. Nell’incontro di Malpensafiere ci ha pensato Paolo Vamvakaris della camera di commercio di Atene. «Le imprese greche sono piccole e prima della recessione producevano solo per l’estate. Poi è arrivata la crisi che ha scremato il mercato, lasciando in piedi solo le aziende più solide e serie, così per gli imprenditori che vogliono stringere accordi, il lavoro di ricerca è molto più semplice. Inoltre questa situazione ha costretto il governo a razionalizzare gli enti regionali e locali». Vamvarakis, non contento, mette anche a tacere chi da queste parti vorrebbe un ritorno al passato: «E per fortuna che siamo rimasti nell’euro».
Fatih Aycin ascolta con attenzione il collega greco. Il fatto di rimanere nell’euro non lo convince fino in fondo perché il boom economico della Turchia (che lo scorso hanno è cresciuta "solo" di 3,5 punti percentuale) è il risultato anche della svalutazione della moneta sovrana che facilita le esportazioni. «Noi invece – sussurra Aycin – siamo molto contenti di avere la lira turca».
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