Varese tra gioco d’azzardo e ultras
Pierfausto Vedani ripercorre pezzi di storia sugli argomenti che hanno tenuto banco negli ultimi giorni. In entrambi i casi la politica non ci fa una bella figura
Varese e il gioco. Non solo Varese, ma anche le altre città dell’intero territorio nazionale negli Anni 60 non erano certamente delle bische come possono apparire oggi. Da noi il casinò di Campione drenava i malati di gioco, in qualche caffè si avviavano partite di poker o chemin de fer tra il gruppetto dei soliti noti appassionati dell’alea delle carte. La loro incona era quella dei soldati che si giocavano la veste del Cristo appena crocifisso.
Non c’erano ancora i videopoker e nemmeno lo Stato biscazziere con tanti giochi, mentre le scommesse avevano come terreno preferito l’ippica, la mafia controllava il gioco solo negli USA, come ci ha raccontato Mario Puzo ne “Il Padrino”.
Ma il male oscuro era in agguato, qui da noi a rivelarlo fu un cronista della “Prealpina”, Enzo Tresca, con una serie di articoli che presero in contropiede anche chi doveva controllare l’ordine pubblico: sorpresi pure i cittadini la cui attenzione al rito del gioco, peraltro tradizionale e circoscritto, era stata richiamata dal successo de “Il piatto piange” di Piero Chiara.
Enzo ebbe problemi con il palazzo e, molto seri, con l’ambiente del gioco dove già s’era fatta largo la pratica dell’usura, la mafia aveva piazzato le sue avanguardie e il giro di affari era andato ben aldilà degli esiti di pur importanti partite a poker giocate da piccoli peccatori di provincia.
Enzo sarebbe morto all’inizio degli Anni ’80 in un incidente stradale, non ha potuto vedere i drammi odierni della dipendenza dal gioco, cioè persone e famiglie distrutte dai nuovi tavoli verdi del web o delle sale di macchinette che fruttano soldi anche allo Stato. Nell’ultima notte di attività del Parlamento c’è stato il sì per 5000 centri di videopoker.
E adesso i partiti non parlano più di dimezzare il numero dei deputati, non si sono mossi per ridurre i costi della politica, non hanno cambiato le legge elettorale, non hanno restituito all’erario i soldi indebitamente spesi dai loro consiglieri regionali; adesso questi partiti fanno promesse, parlano di cambiamenti strabilianti. Giocano invece d’azzardo ancora una volta e la posta in palio è il futuro dei cittadini.
Varese e gli ultras. A Masnago una frangia di quelli del basket inneggiò ai campi di sterminio degli ebrei in occasione di un match di coppa tra la Ignis e il Maccabi Tel Aviv, trasmesso anche dalla tv israeliana. Fecero perdere faccia e reputazione in tutto il mondo alla nostra città. Le reazioni negative arrivarono anche dai piani alti dei governi. Fu forte e corale lo sdegno delle istituzioni varesine, fu soprattutto intelligente.
L’oltranzismo non è facile da combattere in ambito sportivo, spesso le società sono impotenti e lasciate sole, anche da chi governa lo sport.
La gente lo sa, lo sanno bene i cinquemila sportivi bustocchi che hanno applaudito il Milan quando ha lasciato il campo dopo il becero episodio di razzismo da parte di ultras. Umanissime le reazioni degli ambienti della Pro Patria e del sindaco Farioli, preoccupati del buon nome della più potente città della nostra provincia; legittime pure quelle di alcuni politici che però si sono avventurati addirittura in critiche verso i giocatori del Milan per non avere disciplinato la loro reazione ai cori razzisti.
Potrò sbagliarmi, ma è stata una forma di oltranzismo di difesa dell’onor patrio se non indirettamente una attenuante, non voluta, per un nuovo manipolo di traditori dello sport bustese e italiano. Contro i quali, andando da subito senza se e senza ma, sarebbe diventato ancora più potente l’applauso dei cinquemila.
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