Sono tutti figli nostri

Nelle ultime settimane abbiamo assistito a numerosi gesti disperati. Le scelte personali non possono nascondere un clima di generale disagio sociale ed economico che tagliano le gambe alla speranza

Non nascondiamocelo, stiamo attraversando un periodo complesso, duro, difficile. Un clima di sfiducia e di crescente malcontento che non lascia presagire nulla di buono. È come se fosse calata una cappa che non lascia intravedere la luce. Diventa così molto faticoso guardare avanti e avere fiducia nel futuro.

Ognuno, con proprie lenti di osservazione, può constatarlo. A noi, tra l’altro, basta leggere i commenti a molti nostri articoli o a quelli sotto i post dei social per rendersi conto di quanto rancore e rabbia stia covando all’interno delle nostre comunità.
Disfattismo e cinismo hanno iniziato ad andare a braccetto e i potenti mezzi di comunicazione permettono una loro amplificazione sempre maggiore. Da una palla di neve ci troviamo così dentro il rischio di una slavina, o forse, peggio ancora, di una valanga.
Negarlo serve a poco. Occorre avere il coraggio di guardarci dentro e cercare di capire, per poi scegliere dove collocarsi e che fare.
Tutto questo non basta a spiegare il crescente numero di suicidi, o dei tentati tali, anche nella nostra provincia. Occorre però aver il quadro dentro cui le cose si sviluppano.
Le ragioni dei gesti andranno poi ricercate nelle singole vicende delle persone, ma il contesto in cui si realizzano è spesso simile.
L’ultima storia in ordine di tempo, per fortuna, ha avuto un epilogo meno tragico di altre.
Ha riguardato una ragazza di quattordici anni che ha provato a togliersi la vita a scuola. Era tempo che scriveva su questo argomento, e le ultime frasi pubblicate poco prima di Natale ci possono aiutare a capire cosa stia succedendo su più larga scala. 
“Alle persone importa. Forse pensi il contrario, ma è così. Le tue scelte non influenzano solo te stesso, ma tutti. Non mettere fine alla tua vita. Hai così tanto da vivere. Le cose non andranno meglio se rinunci”.
Aveva raccontato con dettagli raccapriccianti come vedeva la sua fine. Cosa sarebbe successo alla sua famiglia, agli amici, al suo ex ragazzo, ai compagni di scuola. Una lucidità da restare senza fiato. Ricorda alcune pagine di quello straordinario diario, di una sua coetanea chiusa in uno spazio angusto in una casa di Amsterdam. Anna Frank aveva paura, ma esprimeva una visione della vita fatta di futuro, malgrado la sua condizione fosse davvero terribile.
Oggi quella energia sembra sepolta sotto il dilagante cinismo di una società che legge tutto solo in chiave economica ed individualistica. Abbiamo sepolto le ideologie e con queste anche le passioni. Non c’è più spazio per l’idea che si possa costruire un futuro migliore, diverso. Si pensa alla gestione delle cose esistenti, come fossimo in un’epoca tranquilla. Si continua a parlare di radici, laddove è chiaro a tutti quali siano le trasformazioni in atto in questo periodo. Saltano sicurezze e certezze. Dentro un quadro di cambiamenti così profondi le persone più fragili corrono rischi enormi. Non ci sono risposte certe che possano fronteggiare un clima così difficile. 
Ognuno di noi però, per come può, è chiamato a non voltarsi dall’altra parte, a non far finta che tutto è sempre stato e sempre sarà. Ognuno è chiamato a reagire partendo dal bisogno primario che è quello del trovar risposte concrete, fatte anche della socialità, del non restar solo e aiutare il proprio prossimo a esserlo sempre meno.
Questo vale ancor di più per chi, come noi, ha un ruolo sociale. Non dobbiamo nasconderci la negatività che circola nell’aria, ma occorre anche avere la forza di affermare ciò che di buono esiste e può svilupparsi. Possiamo provare ad attivare reti sociali, almeno nell’amplificare la loro conoscenza e facilitarne lo sviluppo laddove si sta già provando a fare qualcosa per il reale bene comune. Nelle scuole c’è tanto, ci sono potenziali ed esperienze incredibili. Occorre saperli e volerli narrare. 
La storia di questa ragazza è un campanello d’allarme forte e chiaro. Siamo dentro un uragano ed è comprensibile che qualcuno si senta più al sicuro di altri, ma non è così che possiamo scongiurare altri drammi. Lei è anche figlia nostra e non possiamo lasciarla sola. “La scuola siamo noi. – Scrive la preside della sua scuola, dopo l’insano gesto – E’ una delle frasi con cui mi rivolgo più spesso ai ragazzi di prima. Oggi, tutta la comunità scolastica è una famiglia pronta a stringersi in un abbraccio. Ora, è tempo di silenzio e parole. Il silenzio per rispettare la privacy, le parole per i nostri ragazzi perché sappiano affrontare la difficoltà di crescere”.
Aiutiamoli  e aiutiamoci a ritrovare, oltre alla responsabilità, anche il sorriso. Non è tutto, ma iniziamo a cercare scorci di luce. Ce ne sono. Segnalateceli.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 11 Marzo 2013
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