Vestirsi (male) può uccidere, parola di esperto

Tinture pericolose, tessuti compromessi, profumazioni cancerogene e così quello che indossiamo può essere estremamente pericoloso. E anche leggere le etichette può non bastare

I dati che emergono da una ricerca del network "Tessile e Salute" lasciano poco spazio all’immaginazione: il 34% dei capi che circola sugli scaffali dei negozi o sulle bancherelle dei mercati ha etichette che non corrispondono alla realtà e ben il 4% di questi capi ha al suo interno sostanze cancerogene. «Il 4% può sembrare una percentuale molto basse -spiega Mauro Rossetti, rappresentante di Tessile e Salute- ma su milioni di capi in circolazione, non sono certo pochi». E’ proprio di questo che si è discusso in un convegno organizzato dalla Lilt per la settimana della prevenzione del cancro dal momento che «la prevenzione deve passare anche attraverso questo tipo di educazione», spiega il presidente della sezione varesina Franco Mazzuchelli. E così, «se in Europa produrre con particolari tinture è vietato», continua Rossetti, nel resto del mondo «non solo è possibile, ma le nostre legislazioni non prevedono alcun ostacolo all’importazione di queste merci». 
Indossare questi abiti non sicuri può ovviamente avere delle conseguenze più o meno profonde. Si spazia da «sporadiche irritazioni o dermatiti» per arrivare a «patologie croniche o anche tumori». A spiegare gli effetti dannosi che questi capi possono avere sulla salute di chi li indossa è uno dei dermatologi della Lilt, Massimo Pellegatta, secondo cui «l’applicazione continuativa di sostanze tossiche a contatto con la pelle può creare grossi problemi». E anche se «non esistono ancora studi sugli effetti tossici dei vestiti» la letteratura scientifica insegna come «il contatto diretto con sostanze dannose o cancerogene porti l’insorgenza di malattie». 
Ma una soluzione, nell’attesa che la politica faccia il suo corso e metta un freno alla spregiudicatezza di alcuni produttori, c’è e passa per le mani dei giovani. «Noi insegnamo ai nostri ragazzi a mangiare bene anche se non sono loro che poi vanno a fare la spesa -spiega Giovanni Cutini, uno dei coordinatori del progetto Dress Care- e per questo dobbiamo spiegar loro come gestirsi negli acquisti che fanno personalemente». I vestiti, appunto. E il progetto di Dress Care è proprio rivolto alla sensibilizzazione delle giovani generazioni, puntando alla «condivisione del sapere che genera consapevolezza». Così, se da un lato molti produttori si stanno impegnano a bandire le sostanze tossiche dai loro vestiti entro il 2020 (grazie alla campagna Toxic di GreenPeace) dall’altro Dress Care punta a dare gli strumeti ai giovani per districarsi nel mondo degli acquisti. Un primo passo in questa direzione potrebbe essere l’adozione di etichette "intelligenti" che permettano di mappare la vita del capo, dalla zona di produzione del cotone fino al suo confezionamento.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 26 Marzo 2013
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