In Ubi Banca controllori e controllati vanno separati
Andrea Resti candidato presidente della lista “Ubi, banca popolare!” ha presentato a Varese il suo programma all'insegna del cambiamento e della sobrietà: «Un consigliere costa alla banca 100 mila euro all'anno, moltiplicato per 23 diventano 2 milioni e 300 mila euro. Si puo' spendere meno e migliorare la gestione della banca»
«Il mio vero lavoro è quello di papà di due bambini di tre e cinque anni. E tutte le cose che faccio tendo a vederle con i loro occhi, cercando di fare soltanto delle cose di cui possa essere orgoglioso quando loro saranno abbastanza grandi per poterle giudicare». Andrea Resti, candidato alla presidenza del consiglio di sorveglianza di Ubi Banca per la lista “Ubi, banca popolare!”, vanta un curriculum corposo, di chi conosce profondamente la materia bancaria e finanziaria, grazie all’esperienza di funzionario e di professore universitario. Ma ciò che caratterizza la vita di questo quarantottenne padre di famiglia è la discontinuità o, come dice lui, «l’importanza di passare la mano per favorire il cambiamento».
(foto, da sinistra: Marco Gallarati, Andrea Resti e Marco Balzarini)
Resti ha le idee chiare non solo sui valori che devono ispirare l’azione della banca (correttezza, austerità, trasparenza ed efficienza), ma anche i passi da fare per renderli effettivi nella quotidianità a partire dal sistema di governo, che prevede un consiglio di sorveglianza, votato dall’assemblea dei soci, e un consiglio di gestione, nominato dal primo. "I sorveglianti" approvano il bilancio, formulano degli indirizzi strategici generali e vigilano sull’attività del consiglio di gestione che ha il compito di gestire giorno per giorno la banca sulla base degli indirizzi che dà il consiglio di sorveglianza.
Secondo Resti, attualmente non è garantita la separazione necessaria dei due piani, quello dei controllati e quello dei controllori. «Dovrebbero rimanere distinti – spiega l’aspirante presidente -. In consiglio di gestione ci stanno i manager, persone che andrebbero selezionate all’interno della banca, e sopra di loro c’è il cane da guardia, ovvero il consiglio di sorveglianza. Non è accettabile il fatto che ci siano ex consiglieri di gestione, promossi al piano di sopra, che si trovano a sorvegliare le decisioni che hanno preso loro stessi l’anno prima».
La lista di Resti, che è costata la «testa» al direttore generale Giuseppe Masnaga, accusato di esserne il principale sostenitore, ha tra i suoi obbiettivi l’eliminazione di quelle «incrostazioni e commistioni di potere», tra l’altro molto costose, considerato che per ogni consigliere la banca sborsa circa 100 mila euro all’anno per un totale di 2 milioni e 300 mila euro. «La nostra lista ha solo 18 candidati, mentre il consiglio di sorveglianza ne prevede 23 – commenta il professore – . È dunque più simile a una riunione di condominio, un meccanismo assurdo che rende difficile interloquire e sindacare con il rischio di far passare decisioni prese prima delle riunioni. Il paradosso è che se si riducesse il numero dei consiglieri si spenderebbe di meno ottenendo anche una migliore gestione della banca».
La presenza tra i candidati di Marco Balzarini, vicedirettore generale ai tempi del Credito Varesino, nelle intenzioni dovrebbe garantire un certo peso alla provincia di Varese che esprime il 15% dei soci e dove la banca raccoglie molto di più, il 28% pari a 5,3 miliardi di euro, di quanto impiega, il 20% pari a 3,8 miliardi. Uno strabismo che, secondo Balzarini, non ha colpito gli altri territori dove il gruppo è presente. Il problema vero per Resti non sono però le etichette territoriali, quanto garantire nei prossimi 5 anni, «che saranno difficilissimi», una gestione trasparente che tuteli soci e dipendenti, dando maggiore effettività alla forma cooperativa, attraverso l’ascolto delle persone e delle piccole imprese, favorendo i percorsi di crescita professionale all’interno dell’azienda, anzichè affidarsi alle consulenze esterne.
Sui conti di Ubi Banca il candidato presidente avverte: «Mi inquieta il fatto che a fronte di 80 milioni di utile netto ci siano 260 milioni di utili finanziari (derivati, titoli di stato, azioni ndr), componente in genere poco trasparente e difficile da valutare dall’esterno, oltretutto non ripetibili. Non è un caso che gli analisti abbiano parlato di qualità dell’utile».
Il gruppo ha iscritto a bilancio 240 milioni di euro per le rettifiche dei crediti deteriorati, quasi quanto tutto l’utile generato dall’attività finanziaria e a fronte di maggiori rettifiche rispetto al 2011 non è stato alzato il tasso di copertura. Insomma, non è stato messo in cascina abbastanza fieno in vista delle prevedibili difficoltà future. «Il gruppo – conclude Resti – ha un portafoglio crediti molto concentrato su una ventina di grandi nomi, i soliti debitori. Se saltassero tutti contemporaneamente se ne andrebbe via il 140% del patrimonio della banca. Ma questo è solo un caso di scuola».
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