La mancanza di un gene all’origine del tumore ovarico
È la tesi che ha dimostrato l'equipe di genetica umana diretta dal professor Taramelli all'università dell'Insubria. Il lavork verrà pubblicato su una prestigiosa rivista scientifica
Che cosa succede ad una cellula ovarica non affetta da patologia se la si priva di un particolare gene? La cellula sana si trasforma in una cellula tumorale. È questa l’essenza di una importante scoperta scientifica effettuata dal Gruppo di Genetica Umana dell’Università dell’Insubria che sarà pubblicata la prossima settimana sul prestigioso giornale americano P.N.A.S. (Proceeding of the National Academy of the United States of America) ed è già consultabile on line sul sito www.pnas.org.
I genetisti del Dipartimento di Scienze Teoriche e Applicate guidati dal professor Roberto Taramelli (nella foto), ordinario di Genetica umana all’Università dell’Insubria a Varese, a distanza di due anni dalla pubblicazione del lavoro sul ruolo determinante di un gene, RNASET2, nell’ambito del controllo della crescita tumorale, hanno scoperto nuovi risultati che approfondiscono e delineano maggiormente il comportamento dello stesso gene nella dinamica del tumore ovarico. Stiamo parlando del cancro ginecologico più letale, chiamato anche “killer silente” per l’assenza di sintomi specifici, che porta alla morte della metà delle pazienti e fa registrare 200.000 nuovi casi ogni anno, dei quali circa 4000 solo in Italia.
Nel primo studio pubblicato su PNAS i ricercatori varesini avevano trasferito il gene RNASET2 in cellule tumorali ovariche e avevano constatato che la sua azione era di inibire la crescita del tumore. In questo secondo lavoro gli studiosi hanno risposto alla seguente, e opposta, domanda: “ Che risultato si otterrebbe se si togliesse il gene RNASET2 ad una cellula ovarica sana?” L’ipotesi del professor Taramelli, ossia che l’assenza di quel gene avrebbe portato all’insorgenza di un tumore, è stata confermata. «Questa è la dimostrazione formale del ruolo cruciale di questo gene nella genesi tumorale, soprattutto dei tumori ovarici, le cui basi biologiche sono a tutt’oggi estremamente oscure e lacunose» afferma il professore.
I ricercatori hanno, inoltre, scoperto che RNASET2 avrebbe un ruolo fondamentale durante le prime fasi della formazione tumorale, ruolo che si evidenzierebbe “nell’avvertire” (o allarmare) le cellule che qualcosa non sta funzionando in modo corretto. «Sarebbe una sorta di campanello d’allarme – continua Taramelli – . Ma questo gene fa qualcosa in più poiché “richiama”, negli spazi dove le cellule stanno iniziando la loro corsa verso la malignità, cellule immunologiche chiamate “macrofagi” che attuano una sorta di inibizione della crescita delle cellule tumorali».
I risultati globali farebbero presumere che RNASET2 si configuri come un “hub”, ossia come un importante nodo della rete di molecole che presiede ai processi cellulari e che intrattiene un numero elevato di contatti con altre molecole. «È chiaro, come ben sanno gli hacker, che se si vuole far collassare una rete occorre colpire, appunto, gli hub e non i nodi periferici, la cui inattivazione sarebbe irrilevante” spiega il professor Taramelli.
Inoltre RNASET2 sembra esercitare un ruolo attivo nel promuovere un dialogo tra i diversi tipi cellulari presenti nel microambiente in cui avviene la crescita tumorale. Questo ruolo è importante nella cosiddetta “resistenza al tumore”, ossia nella naturale capacità del nostro organismo di controllare la crescita tumorale. «Non dobbiamo dimenticare che se è ormai assodato che una persona su tre (di sesso maschile) e una su quattro (di sesso femminile) va incontro all’insorgenza di una neoplasia nell’arco dei settant’anni di vita è pur vero che due uomini su tre e tre donne su quattro sono resistenti. Come mai? Io e il mio gruppo siamo convinti del fatto che il “microambiente” interno, ossia la particolare architettura strutturale e funzionale dei tessuti dei nostri organi, giochi un ruolo cruciale e RNASET2 agisca proprio in questo ambito».
Purtroppo lo studio focalizzato sul “microambiente”, e quindi sulla resistenza al tumore, è ancora ad uno stadio arretrato rispetto allo studio sulla suscettibilità ad ammalare di tumore (esatto contrario della resistenza), ma presenta delle prospettive molto più interessanti e di largo respiro che potrebbero concretizzarsi con interventi terapeutici molto più “naturali” poiché implicano l’attivazione di difese interne che operano già in modo abbastanza efficace.
«RNASET2 potrebbe quindi rappresentare una delle molecole da testare in ambito terapeutico, considerando che molecole simili a RNASET2 ma provenienti da specie diverse quali, tra le altre, la rana sono attualmente in fase molto avanzata di sperimentazione terapeutica, con risultati abbastanza promettenti. RNASET2, inoltre, avrebbe il vantaggio di essere una molecola proveniente dalla nostra specie e quindi non andrebbe incontro alle abnormi reazioni immunologiche della molecola ospite, che spesso limitano notevolmente l’efficacia clinica» conclude il professor Taramelli.
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