I produttori cinesi vogliono macchine tessili italiane

Giuseppe Tironi, manager della Panter srl di Gandino, in Cina ci è rimasto due anni quanto gli bastava per capire cosa volesse quel mercato e accontentarlo. Ai colleghi presenti al Centrocot ha detto: «Loro sono bravi nell’assemblaggio e nell’accessorio ma in quanto a know how sono lontanissimi dall’Italia»

«I produttori cinesi vogliono macchine tessili italiane». Giuseppe Tironi, manager della Panter srl di Gandino in provincia di Bergamo, in Cina ci è rimasto due anni quanto gli bastava per capire cosa volesse quel mercato e accontentarlo. Ai colleghi presenti al Centrocot, intervenuti ai Venti dell’innovazione organizzati dalla Camera di Commercio di Varese, Tironi dà delle indicazioni preziose sui concorrenti cinesi. «Loro sono bravi nell’assemblaggio e nell’accessorio – dice il manager della Panter – ma in quanto a know how sono lontanissimi dall’Italia. Ecco perché noi manteniamo il cuore della nostra produzione qui e portiamo in Cina solo quello che vogliamo, ovvero il 60 per cento della macchina».
L’azienda di Gandino ha fatto un’altra scelta importante in questi ultimi tempi, chiudendo l’azienda aperta in Cina e facendo una Joint Venture con un produttore cinese di seta. «I cinesi- continua Tironi – non hanno la flessibilità necessaria per rispondere alle esigenze del singolo cliente, soprattutto se piccolo e non fa grossi volumi. Le aziende italiane in questo sono inarrivabili, fanno modifiche su specifica richiesta».
La Panter srl negli ultimi anni ha orientato la sua produzione di macchine tessili per il tessuto tecnico, come la fibra di carbonio, che nel settore dell’automotive ha grandi margini di sviluppo. «I colossi giapponesi – spiega Tironi – stanno già spingendo in questa direzione e quindi il tessuto nell’automotive sostituirà la plastica e lo stesso avverrà per le cover dei computer. Ma per produrre questi tessuti occorre stravolgere le macchine tessili che gli italiani sono in grado di costruire e adattare. A Taiwan ci sono già quelle che lavorano le piattine di polietilene».
Il problema cinese si chiama qualità e secondo Tironi ci vorranno molti anni prima che raggiungano il livello europeo e italiano. Inoltre, la competitività sul prezzo non sarà più possibile nel momento in cui si alzerà la qualità del prodotto. «Oggi il miglior camiciaio al mondo – conclude il manager – lo trovate in Cina, ma i prezzi delle sue camice sono uguali a quelli dei maestri italiani».

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 21 Giugno 2013
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