Il giudice nel mirino: “Pegoraro? Era un praticante avvocato”
Il presidente della sezione penale del Tribunale di Busto Arsizio, che condannò l'ex-comandante dei Vigili arrestato, non si scompone di fronte alla presenza del suo nome nella lista dei bersagli: "Reazione imprevedibile"
Il presidente della sezione penale del Tribunale di Busto Arsizio Adet Toni Novik non si scompone davanti ai titoli dei giornali che questa mattina, mercoledì, lo inseriscono nella "lista" dei potenziali obiettivi di Giuseppe Pegoraro, l’ex-comandante della Polizia Locale di Cardano al Campo che martedì ha sparato, ferendoli, al sindaco di Cardano Laura Prati e al suo vice Costantino Iametti. «Conosco Pegoraro da molti anni – racconta Novik – era un aspirante avvocato che ha praticato presso lo studio dell’avvocato Franco Murdolo. Seguiva le udienze e attendeva l’abilitazione, poi ha preso un’altra strada diventando agente di Polizia Locale e poi comandante». Poi le loro strade si divisero fino a quando non l’ha trovato imputato nel processo per la truffa dei cartellini: «Durante il processo ha tenuto una condotta sempre corretta e mai sopra le righe – ricorda ancora Novik – non ha mai avuto un atteggiamento violento».
Quello che è accaduto fa però scattare una riflessione nel giudice: «Registro una differenza fondamentale tra la reazione ad una condanna di una persona che delinque abitualmente e una persona che lo fa una volta sola, quelli che chiamiamo "colletti bianchi" – spiega Novik – mentre il primo mette già in conto la possibilità di essere arrestato e condannato, il secondo non accetta questa possibilità e davanti ad una condanna si può scatenare una reazione imprevedibile, come quella che ha avuto Pegoraro». Alla base, dunque, c’è la non accettazione di una sentenza da parte di una persona, tra l’altro, che conosce bene la legge perchè l’ha studiata e applicata attraverso il suo lavoro. In questa reazione si aggiunge, poi, la passione per le armi e il fatto di avere sempre una pistola con sè: «Questa circostanza diminuisce quel timore verso l’uso delle armi che dovrebbe accompagnare chi ne possiede una – spiega infine Novik – fino al punto che l’arma diventa il mezzo per assecondare la personale voglia di farsi giustizia».
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