Splasc(h): nell’era della musica liquida la qualità resiste
Parla Luigi Naro, dal 2011 alla testa dell’etichetta varesina fatta di grandi nomi, libertà e condivisione
Poter dire di aver lanciato, nel mondo, il nome di Paolo Fresu non è cosa da poco. Anche perché il trombettista sardo (nasce a Berchidda nel 1961), non si è fermato mai un attimo dopo i sette cd incisi come leader per la Splasc(h) Records di Arcisate.
Trent’anni di jazz – l’etichetta è stata fondata nel 1982 da Peppo Spagnoli – che Luigi Naro, alla testa della casa dal 2011, ha festeggiato lo scorso anno anche con un libro, “Sisifo, la fatica della ricerca” (edizioni “Del Faro”) dedicato ai venticinque anni di attività di Massimo Barbiero. Quest’ultimo, percussionista-anima dei gruppi Odwalla e Enten Eller, rappresenta ancora oggi un punto di riferimento all’interno dell’etichetta. Condividendo con Lanfranco Malaguti, Tiziana Ghiglioni, Tiziano Tononi, Alberto Tacchini, i valori di sempre: la libertà, la passione, la cura del prodotto in ogni sua fase. Soprattutto, la possibilità di condividere idee e progetti discografici. «È questo che distingue ancora oggi la Splasc(h)», sottolinea Luigi Naro, professionista nel settore della grafica e della comunicazione. «La responsabilità e il fine di un’etichetta come la nostra», prosegue il produttore discografico, «sono quelli di dare visibilità e voce a chi pensa di poter dire qualcosa di interessante. Non ci poniamo limiti, siamo aperti alle proposte più diverse (anche bizzarre, se hanno un contenuto valido), ci confrontiamo mantenendo salda la curiosità e il rispetto nei confronti della ricerca e della sperimentazione anche radicale». (foto, da destra: Luigi Naro con Peppo Spagnoli)
Nel frattempo, l’etichetta sta programmando il suo futuro: «Non si può più pensare di affidarsi esclusivamente ai cd. Siamo nell’epoca della musica liquida, del downloading, di iTunes e EMusic. L’importante, però, è assicurare una qualità d’ascolto eccellente anche attraverso i nuovi strumenti: il jazz deve possedere una pulizia sonora e una ricchezza di particolari che non debbono essere dimenticati». È questo l’obiettivo da raggiungere senza tralasciare, ovviamente, le nuove produzioni: «La collaborazione raffinata tra Massimo Barbiero e Claudio Cojaniz in “Danza Pagana”, i quartetti di Malaguti (in “Chrysalis” e “Galaxies”), la re-invenzione in “Stella by Starlight” di Alberto Tacchini. Ma anche due ristampe importanti che tanto significano per Splasc(h): “Ensalada Mistica” di Paolo Fresu (con Gianluigi Trovesi) e “For Those I Never Knew” di Luca Flores».
Etichetta dei nuovi talenti, e di chi da talento si è trasformato in grande artista. Lo sostiene Massimo Barbiero: «In quegli anni Ottanta, Spagnoli era uno dei pochi a credere che il jazz potesse essere suonato ad altissimi livelli anche da artisti italiani: la sua era una vera operazione culturale. Soprattutto rara, perché ti dava un’iniezione di fiducia in grado di stimolarti per anni». “Affinità elettive”, definisce Barbiero i lavori nati con la casa varesina: «Un’opportunità di crescita fatta di coerenza, percorsi, identità: è questo che si fa ancora oggi alla Splasc(h)».
In qualunque forma musicale, si tratti di be-bop o hard-bop, di avanguardia, di radici popolari del Nord e del Sud europeo, «la Splasc(h) c’è», conclude Naro. «L’importante è garantire all’artista la propria originalità e tutelarla sui mercati americano, giapponese o nazionale anche attraverso la società fondata per la commercializzazione dei cd: la “Time To Jazz It”».
L’economia non è più quella di trent’anni fa, ma la filosofia – che nel jazz passa dalla teoria alla pratica – è salda. Ed è sempre possibile tuffarsi nel sogno facendo “Splasc(h)”.
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