Dal 2016 per le imprese si “accenderà la luce”
Una ricerca di Ubi- Banca Popolare di Bergamo sul settore chimica e gomma plastica indica che l'inversione di tendenza è vicina. Le aziende chimiche hanno già iniziato a creare valore dal 2011
Da quando è iniziata la crisi, gli economisti e soprattutto i politici hanno usato spesso l’espressione «luce in fondo al tunnel» per indicare l’inizio della ripresa dell’economia, luce che fino ad oggi è rimasta spenta o si è accesa solo a intermittenza. La ricerca presentata da Ubi-Banca Popolare di Bergamo sull’andamento dei settori industriali della gomma plastica e della chimica farmaceutica indica, numeri alla mano, che quella luce si potrebbe accendere stabilmente a partire dal 2016. Si tratta di settori rappresentati da 800 aziende che in provincia di Varese danno lavoro a 17 mila persone (ll 17% dell’occupazione manifatturiera varesina) realizzando un export pari a 1,8 miliardi di euro. «Se la nostra è tra le prime dieci province esportatrici in Italia – ha sottolineato Giovanni Brugnoli presidente di Univa – ciò è dovuto anche al contributo di queste imprese».
Lo studio realizzato da Pio De Gregorio, business analysis di Ubi Banca, su un campione di 53 aziende del settore gomma plastica ha individuato tre tipologie di imprese: le esportatrici (con almeno il 60 % del fatturato realizzato su mercati esteri), le domestiche (con almeno il 60% del fatturato realizzato sul mercato interno) e le neutrali (con un fatturato equamente suddiviso tra export e domestico). Il termine «neutrale» indica che si tratta di imprese che stanno vivendo una transizione, cioè hanno investito sui mercati esteri con capitale tecnico e umano ma non ne hanno ancora visto i benefici. «La nostra previsione nei prossimi tre anni – spiega De Gregorio – è di una crescita moderata del fatturato intorno al 3,5 %. Oggi vanno meglio le aziende esportatrici, il loro fatturato aggregato è significativamente più alto di quello del 2007 e cresce anche il numero dei dipendenti».
L’internazionalizzazione non è però la panacea di tutti i mali, come dimostra la dinamica delle aziende “neutrali”: se si vuole investire sui nuovi mercati bisogna fare sacrifici, lasciando redditività sul terreno. Insomma, nessuna strategia è gratuita.
De Gregorio però si è posto una domanda più complessa: qual è la soglia minima per remunerare adeguatamente gli azionisti? «Il costo medio ponderato del capitale – dice l’analista – si attesta attorno al 7,2% e se il Roi (il ritorno degli investimenti ndr) è sotto questa percentuale vuol dire che il capitale non è remunerato in modo adeguato» con la conseguenza che gli azionisti saranno meno invogliati a rischiare. E se dal 2007 ad oggi, secondo lo studio realizzato da Ubi Banca, nel settore gomma plastica c’è stata una distruzione di valore, a partire dal 2016 ci sarà un’inversione di tendenza, iniziando nuovamente a crescere.
Le imprese chimiche invece sono più solide dal punto di vista finanziario e già a partire dal 2011 hanno iniziato a creare valore, raggiungendo una soglia dell‘8,5%, con un dato aggregato che tende ad aumentare. «Se ci sono extrarisorse – spiega De Gregorio – queste potranno essere investite. Mentre se non si crea valore non ci saranno risorse in più per fare gli investimenti».
In questi ultimi anni si è continuato a parlare di crisi dei consumi e non di crisi degli investimenti che è forse il dato più preoccupante perché se non si investe non si crea occupazione. Osvaldo Ranica, direttore generale di Ubi Banca, in apertura dei lavori, ha detto che la Popolare di Bergamo in provincia di Varese raccoglie 5 miliardi di euro e ne impiega 3,5. Un’ammissione coraggiosa perché fatta di fronte a una platea di imprenditori e che rivela un aspetto di questa Italia in declino già evidenziato dall’economista Giacomo Vaciago tre anni fa alle Ville Ponti di Varese: non mancano i soldi, ma le idee da finanziare.
Leggi anche: Più brevetti e fiducia per rinascere
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