Ferrovieri licenziati per un caffè, i giudici li scagionano
Rfi rimette la querela, le cause civili tutte favorevoli ai lavoratori che erano stati lasciati a casa dopo un servizio di Striscia la notizia
E’ caduta l’accusa di truffa per otto lavoratori delle ferrovie, in maggioranza già reintegrati sul posto di lavoro lo scorso gennaio. Oggi il gup Andrea Crema ha stralciato anche le loro posizioni penali, a seguito della remissione di querela da parte di Rfi, che ha di fatto rinunciato a fare la guerra ai suoi dipendenti chiudendo la vicenda. I ferrovieri erano incappati in un servizio di Striscia la notizia, nel 2012, che li accusava di timbrare il cartellino, e poi di uscire dalla stazione di Laveno per andare a bere il caffè e fare commissioni. I lavoratori erano stati così licenziati. Gli avvocati, tuttavia, hanno presentato una serie di ricorsi, in buona parte a Milano, riuscendo a vincere in tutte le occasioni. L’azienda ha impugnato le posizioni, e si è arrivati a una conciliazione, in cui sostanzialmente Rfi ritirava il licenziamento in cambio di sanzioni più lievi.
La vicenda tuttavia è davvero interessante se si pensa che Rfi aveva licenziato i lavoratori essenzialmente per il clamore mediatico che aveva suscitato il servizio televisivo. Prima che vi fosse un processo civile o penale, dunque, i ferrovieri si erano trovati in mezzo a una strada. Le cause però avevano già smontato il provvedimento dato che erano state condotte davanti a giudici diversi e con risultati a senso unico. Secondo gli avvocati vi è stato un giudizio troppo frettoloso su questa vicenda: «Le immagini andate in onda erano un montato e non l’intero girato – osserva l’avvocato Marzia Giovannini di Varese, uno dei legali coinvolti nelle cause civili – dunque si dava l’impressione che tutti abbandonassero il lavoro quando in realtà non si dimostrava quasi mai la loro assenza e il danno a Rfi. In un caso addirittura siamo riusciti a dimostrare, prove alla mano, che un lavoratore il quale sembrava aver timbrato e poi prelevato dei soldi in banca, in realtà aveva fatto il prelievo cinque minuti prima».
La procedura di timbratura inoltre traeva in inganno lo spettatore, poiché era un sistema ancora sperimentale e dunque non tassativo, ma soprattutto il luogo di lavoro dei tecnici non era necessariamente la stazione, poiché si trattava di addetti alle manutenzioni dell’intera linea ferroviaria. Alcuni hanno effettivamente preso un caffè al bar in orario di lavoro, ma gli avvocati hanno ottenuto l’acquisizione dei filmati delle telecamere da cui emergeva che erano pause di circa tre minuti. L’unico imputato rimasto a processo, oggi, è un ferroviere che non fu licenziato, ma che ebbe 10 giorni di sospensione per un caffè. Per lui la società non ha ancora rimesso la querela perché l’avvocato non ha accettato un accordo transativo giudicato troppo penalizzante.
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