Insegnare non è più un lavoro socialmente utile
Lettera aperta di un insegnante al Presidente della Repubblica italiana. «Non continui ad umiliare la nostra categoria e la nostra professione con la designazione di un Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. Limitatevi, Lei e il Governo di turno, a nominare un contabile. È sufficiente»
Signor Presidente della Repubblica italiana,
chi Le scrive è un servitore dello Stato come Lei. Sono un insegnante. Un insegnante della scuola di Stato. Sono molto orgoglioso di fare il lavoro che faccio. E che faceva mio padre e mia madre. Un lavoro che ritenevo, ancora sino a qualche tempo fa, socialmente utile.
Adesso, però, di questo non sono più sicuro. Non perché sia venuta meno la mia motivazione e, credo, il mio entusiasmo. Ma perché assisto, ammutolito ed inerte, alla dismissione di un settore strategico nella costruzione di una comunità nazionale quale è la scuola di Stato. Nel silenzio e nel palese disinteresse di tutti. Delle istituzioni in primo luogo.
Nella mia città, ma credo in tutta Italia, i supermercati regalano dei bollini, per ogni dieci euro di spesa, da attaccare su apposite cartoline, affinché le scuole possano acquistare un computer, una lavagna, dei pennarelli. Nella mia città, ma credo in tutta Italia, le scuole richiedono ai loro studenti un contributo “volontario”, al momento dell’iscrizione, perché altrimenti non riuscirebbero a garantire il funzionamento minimo della struttura. Nella mia città, ma credo in tutta Italia, le scuole implorano i genitori affinché costituiscano delle Associazioni, da utilizzare poi come bancomat, perché altrimenti non si potrebbe attrezzare un laboratorio, organizzare una qualsiasi attività integrativa, una biblioteca. Nella mia scuola, come credo nelle scuole di Stato di tutta Italia, senza il lavoro volontario e gratuito di molti (insegnanti, amministrativi, collaboratori scolastici, genitori, studenti) il “sistema-scuola” salterebbe in aria. Nella mia scuola, come credo nelle scuole di Stato di tutta Italia, non ci si scandalizza più se le classi arrivano a contenere più di 30 studenti, in spazi inidonei e probabilmente fuori legge.
Ecco, un Paese – le sue Istituzioni, i suoi cittadini – dovrebbe inorridire di fronte a questo degrado. Dovremmo tutti provare vergogna nel vedere le scuole dello Stato, luogo dove, bene o male, le famiglie depositano il loro bene più prezioso per gran parte della giornata, ridotte ad una via di mezzo tra un campo profughi e un’associazione di volontariato. Tutti dovrebbero vergognarsi di sentire un Ministro delegato ad occuparsi di Istruzione, di Università e di Ricerca, suggerire alle scuole dello Stato che rappresenta di ricorrere alle sponsorizzazioni private per dotarsi della strumentazione necessaria alla didattica.
Per questo, rivolgo a Lei, Signor Presidente, che i Ministri li nomina, una preghiera: non continui ad umiliare la nostra categoria e la nostra professione con la designazione di un Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. Limitatevi, Lei e il Governo di turno, a nominare un contabile. È sufficiente. Mettete lì un ragioniere, che, di anno in anno, come hanno fatto tutti in quest’ultimo quarto di secolo, decida in che modo risparmiare, fino a che numero di alunni potrà reggere un’aula, fino a quando bloccare stipendi e scatti di anzianità. Lasciate pure che la scuola di Stato si spenga lentamente, come va spegnendosi questo nostro Paese. Ma, per favore, abbiate rispetto della nostra dignità. È tutto quello che ci rimane.
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