“Quella luce, che tengo sempre accesa la notte”
Maddalena Gazzetta racconta l’eccidio di Borgo Ticino, dove morì suo zio: “Aveva combattuto nella Julia e l’hanno ammazzato”. La testimonianza passata ai ragazzi delle scuole di Varese
«Scusi signora, mi farebbe l’autografo?». Minuta, biondina, piccola: ha saputo aspettare che il cinema si svuotasse per chiedere, a mezza voce e con un sorriso radioso. Lo sguardo dell’altra donna, nata una sessantina d’anni prima si alza appena nella penombra e guarda la ragazzina, per abbracciarla con un’occhiata: l’incontro di una donna che ha sofferto così tanto che alcune notti non può stare al buio con chi vuole conoscere, sapere.
La testimone è Maddalena Gazzetta, classe 1936, che ha visto il plotone d’esecuzione schierato per sparare a tradimento a suo zio, domenica 13 agosto 1944. Lei, Maddalena, ha assistito coi suoi occhi adì un fatto di sangue comeù ne avvennero a centinaia, durante la ritirata dell’esercito di Hitler dall’Italia distrutta dalla guerra. Nella zona di Borgo Ticino non c’erano partigiani quando, la stessa mattina di quel caldissimo 13 agosto, 4 soldati della fanteria tedesca, la Wehrmacht, vennero feriti. “Da Monza – scrive Pier Vittorio Buffa nel suo libro “Io ho visto”, edito da Nutrimenti – un paio d’ore dopo la sparatoria arriva l’ordine di una rappresaglia immediata: tre italiani da mettere al muro per ogni soldato tedesco ferito. Reparti delle SS e della marina, oltre a componenti della X Mas arrivano a Borgo Ticino nelle prime ore del pomeriggio…”.
Quello che avvenne dopo lo ha raccontato la stessa Maddalena: lo zio, “giovane, alto e bello”, racconta, esce di casa per andare a giocare alle bocce e viene rastrellato, messo al muro e fucilato. Lui, che aveva combattuto nella divisione alpina Julia; proprio lui, che aveva servito la patria. Maddalena, bimba di otto anni, racconta con una memoria nitida, con ricordo duro. E le sue parole sono rimbombate nelle orecchie dei ragazzi che questa mattina hanno ascoltato in silenzio il suo racconto. Una testimonianza toccante che ha commosso e anche appassionato. Per questo molti giovani hanno voluto stringere la mano all’anziana.
Ma c’è un legame tra chi ha assistito ai fatti di Borgo Ticino? «Il legame c’è – racconta la donna (nella foto con Angelo Chiesa, presidente provinciale del’Anpi), visibilmente emozionata dopo aver salutato dal palco ed essersi complimentata con Pamela Villoresi, la voce che ha restituito ai ragazzi questa testimonianza – più che altro per aver vissuto una storia comune. La vicinanza delle istituzioni c’è stata negli anni, il comune ha spesso celebrato questo eccidio. Ma personalmente devo dire di non essere in contatto diretto con gli altri testimoni di questa carneficina. Dopo la guerra, con mia mamma, ci trasferimmo a Sesto Calende». La giovane studentessa nel frattempo porge alla signora la penna con cui viene fatta la dedica: fra strette di mano e mazzi di fiori.
«Sì il racconto di oggi mi ha fatto rivivere quel momento: è terribile – racconta la donna – . È una ferita che mi porto dentro e che mai guarirà. Da allora la mia vita è stata tormentata da questo evento: ci sono notti, e sono tante, in cui non riesco a tenere la luce spenta. Non so cos’è: paura, qualcosa che mi tengo dentro: in questi momenti devo tenere la lampadina accesa ».
Il 16 ottobre 2012 il tribunale militare di Verona ha condannato all’ergastolo l’unico militare responsabile dell’eccidio che era ancora in vita, Ernst Wadenpfuhl.
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