Gallarate ha bisogno di una finta “palazzina liberty”?

Si apre in questi giorni il cantiere nell'area tra via Cavour, via Cantoni e piazza San Lorenzo. La riflessione dell'architetto Matteo Scaltritti

Si sono aperti in questi giorni i lavori del nuovo cantiere di piazza San Lorenzo-via Cavour. Il progetto prevede la riedificazione dell’area (in gran parte abbandonata da anni, se non decenni) occupata un tempo dalla Casa Feudale di Gallarate. Il progetto – approvato nel 2010 – ha fatto discutere perché prevede l’abbattimento della "palazzina Liberty", l’edificio affacciato sulla piazza che alcune voci (in particolare Legambiente) avevano chiesto di tutelare. Al termine del cantiere – che prevede la costruzione di un parcheggio sotterraneo sotto all’isolato – la palazzina sarà ricostruita "com’era, dov’era". È giusto ricostruire un edificio "in stile"? Riceviamo e pubblichiamo una riflessione dell’architetto Matteo Scaltritti.


Gallarate ha bisogno di una finta “palazzina liberty”?

Nei giorni scorsi sono iniziati i lavori del cantiere all’angolo tra la piazza San Lorenzo e via Cavour. Come si è più volte letto sulla stampa, il progetto prevede la demolizione e ricostruzione “tale e quale” dell’edificio dei primi del 900 che per molti anni ha ospitato il bar Cavour.
Pur non volendo qui riaprire la, già molto frequentata, discussione sull’opportunità o meno di conservarlo, si propone una riflessione sulla scelta della ricostruzione mimetica dell’immobile.
È evidente che nella nostra città esista un problema serio, che non riesce a trovare una soluzione condivisa, relativamente all’atteggiamento da tenere nei confronti del patrimonio edilizio storico. Questa deriva si è manifestata recentemente in casi eclatanti, come la demolizione dell’area Cantoni piuttosto che il “crollo” di villa Calcaterra, ma persiste ormai da decenni determinando la progressiva e irreversibile erosione della città storica e della sua identità.
Il caso dell’edificio in piazza San Lorenzo è emblematico di una situazione caratterizzata dall’assenza di saldi riferimenti culturali, che si manifesta in un intervento che appare per molti versi contradditorio: demolire un edificio per ricostruirne una copia immediatamente dopo.
Il problema di fondo, che emerge in tutta la sua criticità, è la mancata assunzione di responsabilità nella scelta di conservare o demolire l’edificio che si traduce in una soluzione ibrida e per nulla convincente.
Progettare un intervento su un edificio storico richiede sempre un’attenta valutazione del valore che a quell’edificio si attribuisce, non solo dal punto di vista economico ma anche culturale, artistico, storico e in rapporto al contesto in cui si trova inserito. L’esito di questa valutazione determina la scelta di conservare, e di conseguenza di regolare le trasformazioni, oppure di demolire e sostituire l’esistente con un edificio di nuova progettazione.
Quando si reputa che un edificio sia meritevole di conservazione, per i valori che porta in sé, si dovrebbe operare in una logica veramente conservativa che tuteli l’autenticità materiale del manufatto. Ciò non significa che l’edificio debba essere musealizzato ma che la riqualificazione si attui attraverso opportuni processi trasformativi orientati al minimo intervento e alla scelta delle destinazioni d’uso maggiormente compatibili.
Viceversa, l’evoluzione delle città passa attraverso interventi di sostituzione edilizia dove la capacità progettuale, in rapporto al contesto, consente nuove forme di espressione in dialogo con l’ambiente urbano.
Nel caso in oggetto si è invece optato per una ricostruzione a l’identique snaturando uno strumento operativo, che non manca di suscitare accese critiche, applicato in contesti completamente diversi; celebri sono in questo senso le ricostruzioni mimetiche postbelliche di parti di città distrutte come Danzica, Varsavia o Dubrovnik. Criterio operativo che viene appunto applicato allorquando si reputi necessario recuperare un bene comune andato irrimediabilmente perso perlopiù per eventi catastrofici. Applicarlo per ricostruire un edificio che si è appena deliberatamente distrutto appare quantomeno curioso.
Forse Gallarate oggi non ha bisogno di un simulacro di una “palazzina liberty” ricostruito com’era dov’era per di più ormai decontestualizzato all’interno di un tessuto urbano profondamente modificato dagli attigui interventi degli ultimi decenni.

Matteo Scaltritti
Architetto

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Pubblicato il 20 Gennaio 2014
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