“La Storia non ci insegna nulla”
Per La Giornata della Memoria, il liceo Curie di Tradate ha invitato Vera Vigevani Jarach: fuggita a dieci anni a causa delle leggi razziali, vide la figlia rapita e uccisa durante la dittatura argentina
«La Storia non ci insegna mai nulla. Ciò che è accaduto continua a ripetersi in piccole e grandi situazioni. Ecco perchè non bisogna dimenticare, ma rimanere in allerta per evitare che tutto ciò capiti ancora. Non è ancora finita».
Per ricordare la Giornata della Memoria, il liceo Curie di Tradate ha invitato Vera Vigevani Jarach. Fuggita a dieci anni con la famiglia da una Milano che iniziava a vivere il dramma della Shoah e le leggi razziali, si è ritrovata quasi 40 anni dopo, il 27 giugno del 1976, investita dall’immane dolore di veder rapita e poi torturata e uccisa la figla Franca di 18 anni, durante la dittatura di Videla in Argentina.
Una vita segnata dall’odio e dalla persecuzione che ha lasciato una cicatrice profonda nell’anima di Vera, oggi testimone instancabile dei valori della solidarietà e della speranza: « Io mi rivolgo ai giovani, ai ragazzi perchè ciò che è avvenuto non è successo per caso, per mano di un pazzo visionario. È stata la pianificazione lucida di un progetto preciso. E alcuni segnali si intravvedono oggi, rigurgiti di intolleranza, pregiudizi, odii razziali. Chi scappa da un paese è spinto dal desiderio di trovare la terra promessa, di lasciarsi alle spalle disperazione e orrore. Anche migliaia di ebrei cercarono la fuga navigando verso la Palestina, ma non arrivarono mai a destinazione».
Fascismo, nazismo, dittatura: « Ciò che rese possibile quell’abominio fu il silenzio. Il silenzio di chi girava la testa, di chi assisteva senza opporsi, chi si nascondeva. Liliana Segre mi ha raccontato che quando dal carcere di San Vittore furono trasportati alla stazione per partire alla volta di Auschwitz, solo i carcerati li salutarono e augurarono loro ogni bene, la gente per la via che li vedeva sfilare sui pullman sembravano ciechi e sordi. E così in Argentina, i desaparesidos sono rimasti per anni ombre invisibili a causa del silenzio della stampa, dell’indifferenza delle altre nazioni»
Vera racconta ai ragazzi la sera che la sua maestra delle elementari venne a casa per annunciare a sua madre che lei non sarebbe più potuta andare a scuola: « Vedevamo che le cose si facevano delicate. Così mia madre ebbe la forza di reagire e di convincere mio padre e fuggire. Mio nonno, invece, volle rimanere e finì la sua vita nel campo di concentramento. Ugualmente, nel 1976 io e mio marito capimmo che la situazione si deteriorava ma non avemmo la possibilità di reagire. All’inizio, quando ancora pensavamo che avremmo ritrovato Franca, pensavamo di andarcene. Ma lei non è più tornata e io ho saputo solo dopo 20 anni com’è stata la sua fine. È stato un racconto terribile ma ne avevo bisogno. Franca era una persona, una storia, e aveva il diritto di avere la sua storia».
Guardandosi indietro, Vera non si pente di essere andata in Argentina: « Quando arrivammo, io e la mia famiglia, il paese ci accolse a braccia aperte. Ci ha permesso di studiare, crescere e diventare adulti. Ciò che è successo in seguito è stato terribile: io e mio marito non avemmo il tempo di renderci conto di ciò che stava per accaderci».
Ciò che accomuna le due persecuzioni subite è stato il tentativo di disumanizzare gli avversari, renderli numeri, toglier loro la dignità per poterli sterminare: « In questa azione, però, sono stati loro a perdere l’umanità. È l’uomo che decide ciò che vuole essere, ed è questa libertà che va contenuta perchè la deriva è sempre possibile».
Reagire e non voltar la faccia, solidarietà e giustizia, questi gli insegnamenti che Vera lasciaai ragazzi del Curie: « Non si deve rimaner paralizzati dalla paura. Il segreto è non farsi bloccare ma continuare a muoversi, corpo e cervello, per trovare la soluzione. Quando per la prima volta noi madri della Piazza De Mayo ci radunammo, il vigile cercò di allontanarci perchè era vietato fare assembramenti. Ci disse: "deambulate". E da lì ci venne l’illuminazione: cominciammo a deambulare attorno a una statua e, in questo continuo girare il gruppo diventò sempre più ampio e consistente. Avevamo paura, certo che ne avevamo, ma non ci rassegnammo».
L’ospite del Curie è un fiume in piena, abituata da anni a incontrare i ragazzi argentini e italiani, li ascolta e li stimola a riflettere: «Noi in Argentina diciamo "Nunca mas"...»
La tesimonianza di Goti Bauer ospite dell’Università dell’Insubria
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