Cordì (Sel). “Per la caserma abbiamo già speso 6 milioni”
La posizione del partito di Vendola è molto critica e di attacco all'amministrazione
Riceviamo e pubblichiamo
La vicenda della ex Caserma Garibaldi riassume in sé tutti i limiti e i vizi di culture e pratiche di governo sempre più inadeguati e, comunque, incapaci di affrontare seriamente i problemi, a Varese come altrove.
A Varese il “caso Caserma” è la metafora del ventennio a dominio leghista, tutto chiacchiere e distintivo. Un ventennio all’insegna della improvvisazione, della incompetenza e della insipienza politica – conditi spesso da autoreferenzialità e arroganza – che ha prodotto danni gravissimi, non solo d’immagine (in allegato la ricostruzione della vicenda dal 1994 ad oggi).
Si parla molto di Teatro, ma in realtà l’unico spettacolo in scena è quello, ormai quotidiano, del teatrino della politica. Propongo di installare un palchetto in piazza Repubblica in modo da garantire a chiunque la possibilità di esibirsi anche senza l’uso del caschetto. Tutti, ovviamente, possono dire la loro liberamente, ma chi ha responsabilità pubbliche dovrebbe prendersi la briga di verificare la sostenibilità e la “fattibilità” delle soluzioni prospettate; sia considerando i vincoli che gravano sull’immobile “bene di interesse storico” (vincoli di legge che nessuno può pensare di “aggirare”) che quelli autorizzativi spettanti alla Soprintendenza. La caserma è avvolta in una nube di ambiguità e sommersa da dichiarazioni all’insegna del detto e del non detto, delle interpretazioni e delle forzature più incredibili.
La maggioranza al governo della Città ha certamente il diritto di decidere, ma quando si parla – come in questo caso – di beni comuni irripetibili e di scelte complesse che travalicano la durata di una amministrazione allora dovrebbe, doverosamente, ricercare il consenso più ampio dentro e fuori le sedi istituzionali. Sul futuro della Caserma, come sull’idea di un nuovo Teatro. Su quest’ultimo punto in particolare prima di assumere decisioni definitive bisogna realizzare il più ampio coinvolgimento possibile di associazioni culturali e personalità della cultura, operatori e professionisti del ramo, per definire un progetto culturale condiviso. Bisogni, soluzioni, sostenibilità, vanno dunque affrontati in modo organico e non all’insegna dell’improvvisazione.
Perciò per avviare un confronto serio a qualsiasi livello bisogna essere chiari su almeno due punti:
a) gli obblighi di legge e i vincoli trascritti nell’atto di acquisto non possono essere aggirati o manipolati;
b) la discussione e il confronto sul destino della Caserma e le funzioni in essa ospitabili, vanno separate dalla ultradecennale questione del Teatro.
Sul punto a). Le incertezze o le ambiguità che hanno accompagnato decisioni e atti ufficiali sulla caserma in parte derivano dalla consapevolezza che i “vincoli” gravanti sull’immobile ne determinano di fatto le possibili destinazioni e non lasciano alcuno spazio alla libera scelta.
Sul punto b). Non si può continuare a parlare di Teatro in assenza di un “progetto culturale” per la Città. Perciò qualsiasi soluzione sul “contenitore” risulta non credibile se prescinde dai “contenuti”. Comunque caserma e teatro vanno considerati separatamente anche perché lo studio di fattibilità del 2010 è stato, di fatto bocciato, dalla Soprintendenza. Anche alla luce di quel giudizio (emesso da un soggetto che ha poteri “autorizzativi”) è davvero difficile comprendere le ragioni della cocciuta insistenza sull’ipotesi che il teatro debba “necessariamente” essere collocato “dentro” la caserma. Soluzione riproposta anche in fase di adozione del PGT, ma in palese contrasto con le determinazioni del Consiglio Comunale (v. delibera del 22 novembre 2007). Ci sarebbe poi da considerare la fattibilità sul piano finanziario dell’operazione, ma la maggioranza anziché provare seriamente a “fare i conti” preferisce confidare sulla provvidenza o su qualche generoso “benefattore” (la cui generosità, ovviamente, è direttamente proporzionale alle “volumetrie concedibili”).
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