Henry Cowell e il futuro che non c’è più

Moriva 50 anni fa il grande compositore americano. A lui si devono alcune fra le tecniche più innovative della musica del XX secolo.

Poco tempo ancora, neppure un anno, per ricordare i 50 anni dalla scomparsa del compositore statunitense – ma anche pianista di eccezionale virtuosismo, insegnante, teorico, scrittore, inventore – Henry Cowell. Morto nel 1965, il suo nome latita in cerca di gratificazione. Citate Cowell (per conoscerlo affidatevi al catalogo Naxos distribuito da Ducale Dischi di Brebbia) e vi sentirete dire “chi!?”. Eppur Cowell fu il primo ad utilizzare i cluster (grappoli di note) ai quali fece poi ricorso anche Bela Bartok, il primo ad utilizzare quel piano pizzicato (aprire il pianoforte e strofinare le mani sulle corde) che a John Cage diede l’idea del piano preparato, il primo a comporre con “armonia ritmica” (ad ogni armonia si applica un ritmo distinto) e il primo a dotarsi di una drum machine ante-litteram. “Ultra-modernista” a capo di un gruppo formato da Dane Rudhyar, Leo Ornstein, Colin McPhee, Edgard Varèse e Ruth Crawford Seeger, Cowell é spigoloso, musicalmente irascibile, libero da convenzioni e regole. Trasforma tutto ciò che incontra, realizza scenari continuamente mutabili, crea – donandola ai suoi successori – una musica open-source. Cowell è, nello stesso tempo, un genio e uno sviluppatore di suoni inimmaginabili. Ed è per questo che il suo trattato “New Musical Resources” divenne un punto di riferimento per i musicisti americani più sperimentali del XX secolo. Non gli manca la brillantezza, il coraggio, la coscienza critica. Ma neppure lo slancio spregiudicato di chi coltiva in se stesso l’atto primordiale del cambiamento epocale: la spontaneità dell’artista vergine. Da qui prende forma il mosaico fatto di culture occidentali e non occidentali (Homage to Iran), di Espressionismo europeo (Vestiges), di atonalità e poliritmia, di folclore e mitologie irlandesi (Piece for Piano with Strings). Ciò che lo ispira, però, non è solo l’infinito spettro dei suoni del mondo, ma il processo che pone alla base di questa nuova organizzazione musicale. Tutto, in Cowell, è frutto di sintesi e fluidità, di concatenazioni e dilatazione, di pensiero e improvvisazione. In un brulicante incedere di punteggiature senza tempo.

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Pubblicato il 02 Marzo 2014
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