Melina resta in carcere, ma i figli la difendono
Accusata di aver ucciso il marito, davanti al gip si è avvalsa della facoltà di non rispondere
Gli investigatori sono convinti di aver risolto il caso dell’omicidio di Somma Lombardo, ma si attendono ora i risultati dei Ris. Le analisi sulle macchie trovate nella vettura di Melina Aita, chiariranno se la moglie abbia lasciato nella sua vettura sangue della vittima, Antonino Faraci, 72 anni – il marito – trovato assassinato in casa il 12 aprile.
La donna aveva raccontato di averlo rinvenuto al suo ritorno nella villetta dopo una visita alla figlia, ma in realtà gli orari dei suoi passaggi davanti alle telecamere comunali rivelerebbero che quando uscì di casa nel pomeriggio per andare dai parenti a Fagnano Olona, il marito era già morto. E soprattutto, l’autopsia ha spostato all’indietro l’orario del decesso.
I carabinieri e la procura di Busto Arsizio hanno dunque ipotizzato la messinscena, e disposto il fermo di polizia che ieri il gip ha convalidato. La donna dunque rimane in carcere a Monza e durante l’interrogatorio di garanzia si è avvalsa della facoltà di non rispondere. Ma i tre figli della vittima non possono accettare la pista del delitto familiare. Intervistati ieri dal Tg1 hanno dichiarato di non credere assolutamente alla colpevolezza della madre, che hanno difeso con molta decisione da tutte le accuse. I carabinieri e la procura tuttavia sono convinti di avere in mano indizi gravi e concordanti e la decisione del gip li ha confortati. Il silenzio della donna lascia però ancora qualche spiraglio di giallo, e poi manca un movente. Sono pochi, invece, i dubbi sull’oggetto utilizzato per colpire la vittima alla testa: un elefante di metallo pesante color oro, rinvenuto nei pressi del cadavere, con la base staccata dal corpo principale.
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