Squinzi e Sapelli invocano la “resistenza”
Il presidente di Confidustria e il professore di Storia dell'economia sono intervenuti all'assemblea generale di Univa. «Se tutti fossero come la provincia di Varese, staremmo meglio»
A sentire il professor Giulio Sapelli, pare che in Italia sia arrivato il momento di parlare chiaro. Sul palco di Malpensafiere, accanto al moderato (nei toni) Giorgio Squinzi e davanti a migliaia di imprenditori varesini, il professore di storia dell’economia ha parlato senza usare mezze misure del Paese, dei politici, dei manager, dei giornalisti e anche dei padroni di casa. «Gli imprenditori – ha detto Sapelli – hanno appoggiato politiche economiche sbagliate decretando la loro autodistruzione. Avete creduto a Monti. Come si fa a credere a Monti e all’austerità della Merkel? Contrordine: compagni imprenditori, scaglionatevi non scoglionatevi».
Debora Rosciani, giornalista di Radio24, ha portato i due interlocutori verso le traiettorie disegnate dalla relazione di Giovanni Brugnoli, presidente di Univa, carica di spunti e anche di qualche provocazione, che il professore ha dimostrato di apprezzare, soprattutto quando si parla della produttività italiana, di poco inferiore a quella tedesca e superiore a quella di tutti gli altri paesi europei.
Squinzi ha ascoltato Sapelli, come si fa con un vecchio amico di cui si conoscono la storia e anche le speranze, accogliendo la sua proposta di introdurre un’ulteriore traiettoria – riferendosi alla relazione del presidente di Univa – quella della «resistenza», ovvero la capacità di mandare avanti un’azienda nonostante un contesto negativo come quello italiano. «Stiamo già resistendo – ha replicato Squinzi -. E se tutti fossero come la provincia di Varese, staremmo meglio».
La maggior parte delle imprese del distretto varesino sono di piccole e medie dimensioni. Per Sapelli non è un problema, anzi. Per Squinzi è una condizione, in molti casi, solo temporanea. «Si parte da piccoli, per poi diventare grandi – ha sottolineato il presidente di Confindustria -. Mio padre aveva 20 dipendenti, ed esportava in Svizzera. Oggi produciamo in 33 paesi nel mondo. I piccoli crescono anche mettendosi in filiera come fornitori delle medie e delle grandi imprese».
Si puo’ essere pessimisti nel breve periodo e ottimisti nel lungo, ma secondo Sapelli ciò non esclude che ci siano dei responsabili. Il professore punta il dito contro i manager chiamandoli «pirla», gente che «nelle piccole imprese difficilmente fa carriera, perché c’è il controllo dell’imprenditore, mentre nelle grandi aziende, i pirla, vengono cooptati».
Il professore rincara la dose fino a chiedere la chiusura delle business school perché «piene di lobotomizzati. Il sistema invece avrebbe bisogno di qualche laureato in meno e qualche perito tecnico in più».
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