Credito alle imprese: senza investimenti non si riparte
Gli istituti bancari sono diffidenti verso le imprese e le imprese hanno smesso di investire. Come si esce dal tunnel?
«Quando penso al tessuto imprenditoriale italiano, penso alle stelle. Magari si sono spente milioni di anni fa, ma brillano ancora. Almeno ai nostri occhi».
A dirlo è Alessandro Baban, vicepresidente di Confindustria e presidente piccola industria dell’associazione degli industriali che giovedì 10 luglio, ha partecipato ad una tavola rotonda all’Università Bocconi, sulla situazione del credito alle imprese.
Un argomento spinoso su cui si sono confrontati Gregorio De Felice, chief economist di Intesa San Paolo, Monica Cellerino, responsabile regionale Unicredit per la Lombardia, Giorgio Merletti, presidente di Confartigianato e Stefano Caselli, professore di economia e finanza dell’università Bocconi. A moderare l’incontro Dario Di Vico, giornalista di punta del Corriere della Sera.
Spunto del dibattito una ricerca confezionata dall’Osservatorio sulle Pmi dall’ateneo milanese che ha raccolto informazioni su un vasto campione di aziende italiane, circa il 6% del totale, lungo un asse temporale che va dal 2006 al 2012. Dai dati emerge una situazione complessa, in cui un terzo delle impresa analizzate dimostra di avere una buona liquidità, mentre il restante presenta una situazione di indebitamento elevato e una peggior capacità di rientro dal credito.
Difficoltà speculari a quelle raccolte dall’ultimo bollettino sul credito diramato da Banca d’Italia e che certifica da una parte una maggiore diffidenza da parte degli istituti bancari nei confronti delle piccole e medie imprese e dall’altro una reticenza delle aziende a chiedere finanziamenti per fare investimenti produttivi.
Ma se la situazione del credito appare incagliata nelle secche della crisi, alcuni timidi segnali di ripresa iniziano a vedersi. Secondo la ricerca dell’Opmi, il "Made in Italy" si sta lentamente riprendendo, soprattutto per quanto riguarda il settore della meccanica e del chimico-farmaceutico; nel Nord-Est del Paese, così come in Emilia-Romagna, Liguria e Piemonte, si registrano buone performance per le Pmi con meno di 10 anni di vita. Infine le imprese con una struttura concentrata in poche (ma esperte) mani, hanno tassi di crescita più elevati rispetto a quelle con capitale frazionato.
«In realtà oggi chi sopravvive alla crisi, è colui che esporta – dice ancora Baban dopo l’esposizione dei dati – colui che fornisce innovazione nell’Automotive, nella meccanica di precisione, nell’automazione. Su 180mila imprese italiane sono 70mila quelle che esportano all’estero. Perché una parte del Paese reagisce meglio rispetto all’altra?».
Il vicepresidente di Confindustria continua elencando le pecche di un sistema miope, incapace di investire nel turismo, nel settore del food e soprattutto incapace di attrarre la liquidità degli investitori esteri nonostante l’alto valore aggiunto di settori come il manifatturiero delle piccole e medie imprese sparse sul territorio nazionale.
Dalle banche arriva un messaggio chiaro.
«Per gli istituti di credito il tema della crescita è fondamentale – dice Monica Cellerino di Unicredit -. Per questo un progetto aziendale ben costruito è fondamentale. Bisogna però comprendere il cambiamento, svilupparsi, guardare all’estero. Gli imprenditori tendono a chiedere finanziamenti per diminuire il debito accumulato negli anni, non per investire nella propria attività. Ma se guardiamo alle aziende che stanno crescendo, queste esportano, hanno un manager e una visione industriale concreta». Hanno insomma un profilo che assomiglia poco alla maggior parte delle nostre Pmi.
Oltre al credito bancario però esistono diverse soluzioni, oggi percorse solo in parte, che possono aiutare le imprese sul fronte del credito: pensiamo al finanziamento obbligazionario, alle operazioni di private equity, ai minibond, e su quello delle liquidità immediata al Reverse factoring tecnicamente complesso ma potenzialmente efficace.
Un’altra soluzione, questa volta percorsa con qualche risultato durante il quinquennio che va dal 2009 al 2013, è quella offerta dai Confidi. Solo in Lombardia i consorzi di garanzia dei fidi hanno hanno cofinanziato insieme al sistema bancario, investimenti produttivi per 141 milioni di euro.
Una soluzione che ci riporta nella provincia di Varese che fu tra le prime, con l’Associazione artigiani, a tracciare questo tipo di percorso.
Giorgio Merletti (in foto), presidente di Confartigianato Imprese, ha illustrato un altro utile servizio rivolto alle imprse e messo in piedi proprio dalla Confartigianato varesina. Si chiama Credit Pass ed è strumento che mette in relazione fra loro imprese e banche, garantendo consulenza finanziaria alle imprese e l’affiancamento dell’imprenditore nel momento della richiesta di un finanziamento, ma anche un servizio in grado di permettere agli istituti di credito di conoscere realmente le imprese, guardando alle loro potenzialità di sviluppo attraverso un’analisi economica, finanziaria, commerciale e organizzativa dell’impresa stessa.
«Dal 2011 a oggi – ha aggiunto Merletti – Confartigianato Varese ha coinvolto più di 300 imprese nel progetto Credit Pass con il 93% del campione soddisfatto nei confronti del servizio, mentre per l’85% dei casi ha ottenuto l’affidamento che era stato loro precedentemente negato».
Un servizio che forse non risolve il problema della sottocapitalizzazione delle imprese, o il mancato afflusso di capitali esteri in un Paese che ha il doppio degli asset rispetto al proprio Prodotto interno lordo, ma che certo dimostra come l’unione fa la differenza.
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