“Garanzia Giovani”, ecco perché non funziona

Un incontro in Regione per illustrare alle aziende il piano europeo di rilancio dell'occupazione giovanile, offre lo spunto per l'analisi di una misura che in Italia rischia di non decollare mai

I grossi c’erano tutti, o quasi. Bosch, Coca Cola, IBM, McDonald’s, Nestlè, Banca Intesa, Fininvest, Techint, Fondazione Bracco e Bayer. Tutti seduti attorno a un tavolo al 39esimo piano di Palazzo Lombardia in occasione dell’incontro "La sfida di Garanzia Giovani per le imprese".
A far gli onari di casa Valentina Aprea (nella foto) assessore all’Istruzione, formazione e lavoro che ha illustrato come in base agli ultimi dati disponibili sono 9.779 i giovani che hanno aderito a Garanzia Giovani in Lombardia attraverso il portale regionale di  garanziagiovani.  «Di questi: 5.295 provengono da altre regioni, segno che la Lombardia ha una buona attrattività, e 1.598 hanno completato le adesioni sul portale regionale scegliendo l’operatore accreditato (ovvero i centri per l’impiego, agenzie interinali, ndr)».

L’assessore ha quindi precisato quanti milioni verranno anticipati dalla Regione per il piano giovani predisposto in Lombardia. Di 1,5 miliardi di euro, dei quali 567 provenienti dalla Youth Employment Initiative, 567 dal Fondo Sociale Europeo e 379 di cofinanziamento nazionale, la nostra Regione finanzia Garanzia Giovani con 178 milioni di euro per gli anni 2014 e 2015
Questo finanziamento è destinato, sia all’offerta di servizi e percorsi personalizzati per essere inseriti nel mondo del lavoro, sia all’erogazione di agevolazioni alle imprese che assumono giovani. Alle imprese che attiveranno un contratto di tirocinio, di apprendistato, di lavoro a tempo determinato o indeterminato, verranno infatti riconosciuti incentivi e contributi per abbassare i costi, per sostenere la formazione di ingresso, per erogare bonus occupazionali.

Eppure lo scetticismo sul piano, nonostante i numeri sbandierati dal ministro e gli auspici dell’assessore regionale, supera di gran lunga l’ottimismo. Secondo il direttore scientifico di Adapt, il centro studi fondato da Marco Biagi a Modena, Michele Tiraboschi, le ragioni sono evidenti: «Non è tanto Garanzia Giovani in sé che non funziona – dice l’economista al quotidiano Tempi.it – il problema è che, da anni, in Italia, non funziona il mercato del lavoro nel suo complesso. In particolare, manca ancora un sistema di agenzie pubbliche e private in grado di collegare la domanda con l’offerta, un sistema formativo e scolastico adeguati, nonché una seria analisi dei bisogni professionali della nostra economia. Tutti elementi su cui l’impianto di Garanzia Giovani dovrebbe innestarsi, ma non riesce. Tutte cose che la Legge Biagi del 2003 aveva già messo nero su bianco, salvo poi non essere mai stata mandata a regime per opposizioni di natura culturale e politica. Non è certo un caso, infatti, se abbiamo così tanti giovani disoccupati, ma anche molte aziende che, invece, cercano personale qualificato senza trovarlo».

Un problema, quello tra domanda e offerta, la cui soluzione viene affidata da Garanzia Giovani, ai centri per l’impiego i quali, secondo i dati di Unioncamere, mediano circa il 3 per cento delle richieste provenienti dalla imprese. Una percentuale irrisoria rispetto alla platea dei giovani disoccupati italiani. Un mix esplosivo. Da una parte i numeri citati dal ministro del Lavoro, Poletti: 108mila giovani iscritti a Garanzia Giovani, dall’altra l’incapacità di rispondere efficacemente alle loro legittime aspirazioni. 

Secondo il sociologo Francesco Giubileo e l’economista Francesco Pastore, che sull’argomento hanno pubblicato un articolo sul sito la Voce.it, la situazione può essere in parte raddrizzata seguendo quattro indicazioni espresse dal Consiglio dell’Unione Europea. Primo, l’elaborazione di strategie basate sulla partnership con i servizi privati.
Secondo, un’intervento tempestivo perché i servizi per l’impiego siano in grado di fornire un orientamento personalizzato e una progettazione individuale.
Terzo, l’elaborazione di misure di sostegno per l’integrazione nel mercato del lavoro: ridurre i costi non salariali della manodopera al fine di migliorare le prospettive di assunzione, utilizzare incentivi salariali, promuovere la mobilità del lavoro, rendere disponibili più servizi di sostegno all’avviamento, migliorare i meccanismi di riattivazione al lavoro.
Quarto, attuare una valutazione degli interventi (monitorare a valutare tutte le misure messe in pratica garantendo un uso efficiente delle risorse, promuovere le attività di apprendimento reciproco a livello nazionale, regionale e locale tra tutti i soggetti coinvolti).

Difficile immaginare, ora come ora, anche solo la metà delle misure indicate dall’Unione Europea al nostro asfittico mercato del lavoro. Eppure, tornando in Lombardia un punto forte c’è e lo ha indicato ieri il direttore generale all’assessorato Giovanni Bocchieri: «In Lombardia abbiamo la possibilità offerta dalla DUL (Dote unica lavoro) alle aziende di assumere giovani con contratto di apprendistato professionalizzante, opportunità non prevista da Garanzia Giovani e, invece, strumento che riscuote interesse e fiducia da parte degli imprenditori». 

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 04 Luglio 2014
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