Le braccia avvolte attorno alle ginocchia
Stamattina la nave Vega ha permesso lo sbarco di 550 migranti, tra cui tanti bambini. Un grande dispiegamento di mezzi e realtà professionali e di volontariato hanno permesso di effettuare senza problemi tutte le operazioni
La Nave Vega della Marina militare è un pattugliatore ultimato nel marzo del 1991; ha il distintivo ottico “P 404”, ben visibile in bianco al di sopra della linea di galleggiamento sui fianchi grigi. Inizialmente è stata utilizzata per operazioni antinquinamento nel Mar Ligure e Mar Tirreno, poi per operazioni umanitarie come quella di stamattina al porto di Reggio Calabria, con più di 500 migranti recuperati nel mar Mediterraneo e sbarcati in modo “programmato”, ovvero secondo tempi e procedure stabilite nei giorni precedenti.
Il Ministero dell’Interno, con l’operazione "Mare nostrum", decide la città presso la quale effettuare lo sbarco e coordinandosi con la Prefettura locale predispone i presidi medici e di ordine pubblico.
Questa mattina al porto di Reggio Calabria era palpabile la tensione dell’attesa degli operatori, dei volontari della Protezione Civile e degli Scout e delle forze dell’ordine. Grandi nuvoloni bianchi e grigio scuro incombevano sul tratto di mare dello Stretto rovesciando pioggia, a chiazze, nelle vicinanze della costa siciliana.
Inizialmente l’arrivo era previsto alla 7 ma alla fine la nave è giunta al porto per le 10. Assistere a una procedura di sbarco è un momento denso fatto di immagini potenti. L’area portuale attorno alla nave attraccata si distacca dagli altri elementi della zona del porto: è come se una bolla escludesse ciò che sta dentro – le persone in tensione pronte ad avviare i meccanismi procedurali di assistenza, con i carabinieri e i volontari – dal resto delle dinamiche della città retrostante, il treno che passa, il traffico rumoroso che confluisce verso il centro.
I 500 migranti stanno sul ponte di poppa della nave, seduti attorno all’elicottero fermo del pattugliatore, con le braccia avvolte attorno alle ginocchia e le mani a stringere davanti al proprio grembo.
In modo ordinato e dando precedenza alle famiglie con bambini o alle persone stremate, tutte le persone sono scortate dal personale dotato di tute di plastica e mascherine partendo dalla poppa fino alla scaletta laterale per la discesa. Tendenzialmente, gli uomini sono vestiti con magliette a manica corta e jeans; le donne e i bambini hanno felpe e vestiti più pesanti. Alcuni tengono le proprie cose in uno zaino o in un sacco nero della spazzatura. I bambini più piccoli sono tenuti in braccio dai genitori e talvolta dagli operatori.
Chi scende a terra viene adagiato su una barella se non riesce reggersi con le sue forze e trasportato in ambulanza, oppure in caso contrario riceve una bottiglietta d’acqua e viene scortato alle tende del Ministero dell’Interno per la fase di numerazione e riconoscimento.
A ogni immigrato è associato un numero scritto a pennarello fine su un foglietto rosa, che viene applicato sulla manica sinistra del vestito con due punti metallici di pinzatrice. La manica è la sinistra perché la procedura di sbarco avviene in fila e in senso orario dalla nave passando per i gazebo fino ad arrivare ai pullman.
Tre immagini flash: il figlio che sorride al papà mentre lo tiene in braccio prima di scendere dalla nave; il medico che controlla il battito cardiaco esercitando pressione sul polso di un ragazzo in barella; la ragazza incinta col velo, caricata su una delle quattro ambulanze presenti al porto e pronte a raggiungere l’ospedale.
I migranti sono stati tutti accompagnati in due strutture della città. C’è un clima sereno, dove la solidarietà si mescola a una grande professionalità degli operatori di varie realtà.
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