Filetti (Fiom): “Articolo 18, attenti alle televendite!”
Stefania Filetti, segretaria generale Fiom Cgil Varese, interviene nel dibattito sulla riforma del lavoro che nelle intenzioni del Governo, tra le altre cose, prevede anche l’abolizione dell’articolo 18
«Articolo 18, attenti alle televendite!». Lo dice in una nota piuttosto dura e articolata Stefania Filetti, segretaria generale Fiom Cgil Varese, intervenendo nel dibattito sulla riforma del lavoro che nelle intenzioni del Governo, tra le altre cose, prevede anche l’abolizione dell’articolo 18 dello statuto dei lavoratori. Cgil ha annunciato una manifestazione a Roma per il 25 ottobre per la difesa dei diritti e del lavoro.
«Ma in Italia c’è bisogno di licenziare o di assumere? L’urgenza è quella di creare lavoro o di permettere alle imprese di licenziare liberamente e ingiustamente? Da qualche settimana sentiamo dal presidente Renzi il forte richiamo al cambiamento. Ok. Vogliamo cambiare. Ma per andare dove? Le dichiarazioni appaiono così generaliste che ognuno ci vede ciò che più gli aggrada, e subito si affrettano alcuni a commentare positivamente il passaggio ai licenziamenti facili – scrive Filetti -. Qualcosa non torna, anche perché incontriamo quotidianamente imprenditori che chiedono aiuti per non perdere l’impresa costruita in una vita e spesso trovano porte chiuse o difficili da aprire: credito, sostegno agli investimenti, politiche di settore ecc. Il più delle volte sono i lavoratori ad aiutare l’impresa. Con la legge Fornero del 2012 l’art.18 della Legge 300 è stato modificato. Il governo Monti aveva provato a togliere del tutto la reintegra per lasciare un minimo risarcimento economico. Oggi Renzi ci riprova. In sintesi: si eliminano quelle protezioni minime che permettono al lavoratore di difendersi dalle ingiustizie, riportando il rapporto di lavoro più vicino alla sudditanza medievale che alla moderna civiltà. Il paragone con la Germania è interessante: in quel Paese le tutele si applicano nelle aziende con più di 10 dipendenti, e la norma è simile alla nostra attuale. La loro attenzione all’industria è nota. In Italia il nanismo imprenditoriale, i mancati investimenti in ricerca e in innovazione di decenni, la sottocapitalizzazione delle imprese (il governatore Visco ha parlato di 200 miliardi di mancata capitalizzazione) hanno ridotto l’industria italiana un colabrodo. Interi settori che in altri paesi sono trainanti da noi consegnano solo licenziamenti e chiusure. Servono licenziamenti facili? Sì, ma di quella classe imprenditoriale che ha preferito investire in borsa anziché innovare, che non ha restituito i tanti aiuti dello stato in occupazione e sviluppo, che in tempi passati ha approfittato della svalutazione monetaria per coprire le proprie debolezze industriali, fuggendo all’estero nei paesi con diritti lowcost. Il Paese è in drammatica recessione e le casse sono vuote. Anziché provare a uscire seriamente dall’impasse, il governo indica come priorità l’urgenza di poter licenziare, contrapponendo vecchi e nuovi lavoratori. Per nascondere l’inadeguatezza rispetto alle scelte necessarie a contrastare evasione fiscale, lotta all’economia mafiosa, falso in bilancio, una burocrazia dannosa e la totale mancanza di politiche industriali, Renzi ‘inventa’ una nuova battaglia sull’art.18. Come in una televendita, Renzi ci “vende” la cancellazione delle tutele come un’estensione di diritti. Una presa in giro! Ma l’effetto mediatico è tale che il telespettatore distratto prima o poi chiama. Perché non parliamo di responsabilità sociale d’impresa e di capacità imprenditoriale? Del rispetto della rappresentanza sindacale? Del CCNL? Noi ci siamo. E la nostra non è una televendita!».
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