“Di nostalgia non si vive, si muore”
Il segretario provinciale del Pd, Samuele Astuti, parla delle divergenze all'interno del centro sinistra, delle spaccature con il sindacato e dell'attuale situazione politica locale. "Sono ottimista, ma piantiamola di darci reciprocamente degli stupidi. Da fuori potrebbero crederci"
A una settimana esatta dalla Leopolda e dalla manifestazione di Roma della Cgil, la frattura tra le due anime della sinistra sembra sempre più profonda. Da una parte la maggioranza del Pd che fa quadrato intorno al proprio leader e Presidente del Consiglio, dall’altra un blocco sindacale che trova nella Fiom, e in diversi esponenti della minoranza del partito, i maggiori oppositori alla politica del Governo.
Riprendiamo alcuni fatti recenti sia nazionali che locali in un’intervista a Samuele Astuti, segretario provinciale del Pd.

È davvero così profonda come viene descritta la frattura tra Renzi, la Cgil e la minoranza del partito?
«Partirei dalla Leopolda a cui ho più volte partecipato e dove sono stato anche quest’anno. A Firenze è andata molto bene. È cambiato il clima e il modo di affrontare le cose. C’è molta più attenzione alla concretezza delle proposte. Direi che è una Leopolda più di Governo. Rispetto alla frattura, mi sembra che questa venga caratterizzata più dalle differenze tra le persone che non sulle idee. Si radicalizzano posizioni e questo non aiuta il dialogo. È evidente che da troppo tempo c’è una crisi economica profonda e che le tensioni crescono. Fatti come quello di lunedì scorso, dove sono stati feriti degli operai, sono gravissimi e devono farci pensare. Però è bene sgombrare subito il campo da un gigantesco equivoco che si continua a sentire. Quando si chiede al Governo di “creare posti di lavoro” si dice una cosa sbagliata. Non è compito dell’esecutivo sviluppare l’occupazione. Il Governo deve creare le condizioni infrastrutturali di tipo fisico, digitale e normativo, perché le aziende possano lavorare e assumere forza lavoro. È un compito importantissimo per il sistema economico, ma non si assolve in pochi mesi».
Però sembra che la stella di Renzi brilli meno…
«Agli italiani credo interessi poco quanto brilli la stella di Renzi. I cittadini vorrebbero risposte concrete e spesso queste richiedono tempi diversi dall’urgenza che pone la crisi. In ogni caso abbiamo già primi segnali positivi. Gli ultimi dati dell’Istat ci parlano di un significativo aumento dell’occupazione. L’incremento del tasso di disoccupazione poi è il risultato di un maggior numero di persone che si sono messe a cercar lavoro. Non è una cosa da poco questa. Indica che c’è una ripresa di fiducia per il proprio futuro».
Gli ultimi sondaggi sembrano confermare la forza elettorale del Pd che sarebbe ben sopra il 41%. Malgrado questo si riprende a parlare con insistenza di una possibile scissione. Perché?
«C’è qualcuno dentro il Pd che quando vede simili risultati sembrerebbe preferire di tornare a cifre più basse di consenso. Questo perché la responsabilità di Governo e di cambiamento spaventa. Oggi il centro sinistra è maturo e capace di governare. Va molto bene discutere e avere una dialettica forte, ma poi va trovata una sintesi. Quando leggo i giornali e vedo i talk show resto colpito dal fatto che ognuno dia del cretino all’altro. Chi ci vede da fuori alla fine finirà con il credere che davvero siamo cretini. Questo ci fa un gran male. Noi dobbiamo ricostruire una credibilità ad ogni livello e chi soffia sul fuoco per avere consensi in tempi brevi, fa una politica dal fiato corto. Se fossi un investitore estero mi farei tante domande prima di venire in Italia e questo non aiuta ad affrontare la crisi. La vera divisione non è tra maggioranza e minoranza nel partito, ma tra chi ha la consapevolezza e il coraggio del bisogno assoluto di cambiamento per guidare il Paese fuori dalla crisi, e chi invece pensa a una politica di corto respiro».
Intanto però la Fiom annuncia nuovi scioperi…
«Occorre avere molto rispetto per le proteste dei lavoratori. Vivono una crisi pesante e le tensioni non aiutano. Vanno salvaguardati i diritti, però credo che oggi non ci sia bisogno di scioperi, ma di azioni che permettano sviluppo. Temo che i risultati di un conflitto in questa fase potrebbero portare addirittura il contrario di quello per cui si sciopera. Inoltre, credo che sarebbe importante trovare nuove modalità di protesta che non mettano ancor più in difficoltà un sistema già molto debole».
Un discorso che sembra mettere in discussione il ruolo del sindacato?
«È più complesso perché investe tutte le forme di rappresentanza, non solo il sindacato. Siamo nel pieno di un processo di cambiamento che coinvolge i cittadini, le istituzioni e i corpi intermedi. Questi ultimi non possono pensare di restare ciò che erano in passato, o addirittura remare contro. L’attuale fase andrebbe vissuta come una grande opportunità, e questo vale per tutti, a partire dal Pd. Il partito deve riacquistare un ruolo di mediazione autorevole tra società e istituzioni superando un’autoreferenzialità che nel tempo ha allontanato i cittadini dalla politica. Al tempo delle smartcities e della politica smart, abbiamo bisogno di un partito smart. Questo però non riguarda solo noi, ma tutte le forme di rappresentanza. Sulla paura di cambiamento riprendo un’affermazione di Piero Fassino quando dice che “è un timore che non si supera rifugiandosi nella nostalgia di quel che c’era prima. Di nostalgia non si vive, si muore”».
Intanto che lei fa questi ragionamenti sulla politica “intelligente”, a Varese c’è stata una mezza crisi di governo che ha portato l’Ncd fuori dalla Giunta…
«Ho letto dichiarazioni che parlano di Prima Repubblica. Non sono d’accordo perché qui siamo di fronte alla fantapolitica della quarta Repubblica, dove le segreterie di partito non capiscono più i contesti e decidono per altri. Sono molto dispiaciuto per i cittadini di Varese e anche per il sindaco Fontana. Con che coraggio si parla degli interessi dei cittadini quando si manda via un bravo vice sindaco come Baroni, così come lo ha descritto anche il primo cittadino?»
Lei parla così però perché si sente chiamato in causa dopo le elezioni in provincia?
«Siamo di fronte a uno spettacolo surreale che aumenta le mie perplessità su quanto le segreterie di partito abbiano capito cosa sta succedendo. Il voto per il Presidente della Provincia è di secondo livello e non riguarda direttamente i cittadini. Il fatto che Forza Italia e la Lega non lo capiscano mi lascia sconcertato perché la governance dell’ente oggi è garantito dai sindaci e dagli amministratori e non dai partiti».
Ma oggi cosa potrà fare una Provincia senza soldi e con la confusione che regna?
«Per prima cosa ringrazio Gunnar Vincenzi per la disponibilità a lavorare per tutto il territorio oltre che per il suo comune. Con lui si apre una fase nuova. La prima cosa che va fatta è assistere gli amministratori. Poi sarà il momento di coinvolgere i cittadini per tutte le deleghe che resteranno all’ente. Il punto più importante però è quello che riguarda l’economia perché la Provincia può lavorare a un importante documento, una sorta di business plan, che individui scelte di politica industriale territoriale. Vanno identificati pochi settori davvero strategici dove investire in formazione e infrastrutture. In passato l’ente ha lavorato con altre logiche e i risultati ora si vedono. La nostra provincia è tra quelle che pagano maggiormente la crisi proprio perché non sono state fatte scelte e si è buttato del gran denaro per niente. Io sono ottimista perché noi abbiamo tutte le carte in regola per uscire bene da questa situazione. Abbiamo due università, Malpensa, siamo vicini all’Europa e sfioriamo un milione di abitanti. La condizione però è quella di tornare ad esser attrattivi e di operare scelte giuste».
Dalla teoria alla prassi che cosa occorre fare?
«Tutti i soggetti devono mettere in pista gli uomini migliori perché si confrontino e arrivino a una vera sintesi che permetta di scegliere. È un compito difficile e che richiede lo sforzo di guardare insieme al futuro senza che ognuno cerchi di salvaguardare solo se stesso. È faticoso e mette anche un po’ paura, ma il compito della politica è anche quello di avere visioni e lavorare per arrivare ai risultati».
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