Russo, dalla “jungla” della Serie C alla porta del Lugano

Il portiere varesino ha trascorso una carriera tra squadre sull'orlo del fallimento e stipendi non percepiti. Ora ha trovato la serenità in Canton Ticino, dove è il leader di una squadra che punta alla promozione

Un varesino che difende i pali del Lugano. La storia di Francesco Russo, classe 1981, fisico da granatiere, pararigori eccezionale e tecnica purissima, è di quelle da raccontare. Cresciuto sui polverosi campi dell’allora Azzate Calcio, passa giovanissimo al Varese e poi, dopo un inizio di stagione in panchina a fare il vice di Brancaccio, va al Torino in Primavera. Due stagioni da protagonista e poi il solito giro per l’Italia della serie C, refrain già descritto per tanti altri giovani calciatori spediti a farsi le ossa: Avellino, Lecco, Alzano, Solbiatese (in serie D), Palazzolo, la prima esperienza svizzera a Chiasso nella B elvetica, Lanciano, Pro Sesto, Melfi. E ancora Cavese, Pergocrema e poi Lugano, dove gioca da 4 anni ed è una vera e propria bandiera dei ticinesi: più di cento presenze che ne fanno uno dei leader della squadra che questa stagione si gioca la promozione nel massimo campionato svizzero. Una bella carriera, vissuta appena sotto la soglia del “paradiso” calcistico, ma costellata di moltissime difficoltà. Infatti se si pensa al calciatore tipo viene in mente il Ronaldo di turno, o il Buffon di casa nostra, circondato di belle donne, tanti (troppi) soldi, contratti blindatissimi e super dorati: beh, in serie C (o Lega Pro) non è così.

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«Dopo gli anni di Varese e Torino ho cominciato a girare per l’Italia, andando incontro a esperienze belle, ma anche complicate. Tanti fallimenti (Lecco, Alzano, Lanciano), tanti mesi senza prendere lo stipendio in moltissime delle squadre dove sono stato. E non sono un caso isolato, anzi: in Italia nelle serie minori è così da sempre, e sempre di più. Io all’epoca non ero sposato e vivevo da solo, ma ricordo molti compagni con famiglie e figli che senza prendere lo stipendio per sei mesi o prendendo i primi soldi a febbraio facevano veramente fatica. Altro che calcio dorato…per chi sta in serie C è una battaglia continua che ti tempra il carattere, se resisti».

Anche per questo Russo ha deciso di andare oltreconfine, prima Chiasso e poi a Lugano: «Qui tutto è più serio, gli impegni si rispettano, il calcio è in crescita e non c’è la tensione che spesso si respira in Italia – spiega il portiere, sposato da cinque anni e padre di due splendide bimbe -. A Chiasso ci andai dopo essere stato preso dalla Sampdoria e girato in prestito al Palazzolo: sono stati tre anni bellissimi. Come splendida è questa avventura a Lugano: arrivai con Preziosi presidente e Taldo direttore sportivo e negli anni si è formato un gruppo che è una famiglia oltre che una squadra».
Nella sua carriera Russo ha incrociato allenatori di prestigio (Donadoni su tutti), e giocatori che poi hanno fatto molta strada: «Ho giocato con Quagliarella, Calaiò, Marchetti, Martinelli, gente che è arrivata in serie A e ci sta ancora benissimo – racconta -. Con Donadoni mi scontrai più volte: eravamo a Lecco, io ero giovane, volevo giocare a tutti i costi ma davanti a me avevo Arcari che è un portiere fortissimo e una bravissima persona; chiesi più volte di andare via, ma il mister mi convinse a restare e portare pazienza per migliorarmi ogni giorno. Aveva ragione lui, come aveva ragione Beretta che a Varese torchiava noi giovani in allenamento, ma poi ci prendeva da parte e ci diceva che era per il nostro bene. Se devo citare un compagno di squadra che ha fatto meno di quanto credessi dico Bertolini: ha fatto tanta serie C, ma secondo me aveva qualcosa in più, delle doti enormi. Io? Ho il rimpianto di non aver mai avuto la possibilità di misurarmi con una categoria superiore: dopo Cava de’ Tirreni e Melfi, stagioni giocate ad altissimo livello e parando anche tanti rigori, speravo di poter provare almeno in serie B, credevo di meritare un’occasione. Tanti miei compagni di squadra l’hanno avuta, a volte mi chiedo come mai io no. Anche per questo quando smetterò non voglio stare nel mondo del calcio. Mi piacerebbe fare il direttore sportivo, cercare nuovi giocatori: ma non ho il carattere per scendere a compromessi, raccontare bugie, prendere in giro le persone come sono stato preso in giro io. Sto già pensando al futuro, farò altro, anche per aiutare chi finisce di giocare a non trovarsi in difficoltà dopo la fine della carriera».

Russo ora gioca in un ambiente tranquillo, dove il calcio è vissuto come importante contorno della vita di tutti i giorni, ma qualche anno fa ha calcato uno dei campi più duri e complicati d’Italia: «A Cava de’ Tirreni è stato meraviglioso, ma anche difficile – ricorda -. Ad un certo punto della stagione ci siamo trovati all’ultimo posto in C1 e si respirava nello spogliatoio la paura, la tensione per le reazioni dei tifosi. Poi ci siamo risollevati e ci hanno fatto sentire dei re: io sono stato nominato miglior giocatore di quell’anno, mi facevano regali, mi pagavano cene e caffè al bar. Io e mia moglie stavamo preparando il matrimonio e quando veniva a trovarmi mi chiedeva: “Ma qua non paghiamo mai?” e io le dicevo “Paga tu se riesci…”. Là vivono il calcio come la cosa più importante del mondo, ti riconoscono per strada: ha i suoi difetti quando le cose vanno male, ma quando vinci ti fanno sentire come in serie A. Qui a Lugano? È un po’ diverso, se perdiamo al massimo incontriamo qualcuno che ci grida “Sveglia!”».

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Pubblicato il 11 Dicembre 2014
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