Marantelli: “Ci vuole un Presidente che piaccia alla gente”
Il deputato del Pd è alla terza esperienza come grande elettore per il Quirinale. "Non andrà come il 2013, allora il gruppo dirigente era uscito malconcio dalle elezioni e il clima era teso"
Giovedì 29 gennaio iniziano le votazioni per l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica. Parlano i Grandi Elettori
Un presidente popolare, che piaccia alla gente. Lo vedrebbe così Daniele Marantelli. Tra le rose di nomi che si fanno in queste ore, la dichiarazione del deputato varesino potrebbe voler dire che la componente dei “Giovani Turchi”, di cui fa parte, non fa il tifo per Giuliano Amato o Massimo D’Alema: politici di spessore, ma spesso bersagli di polemiche “populiste” o "popolari".
E’ la terza volta che Daniele Marantelli, 62 anni, elegge un Presidente della Repubblica. Ex Pci, Pds, Ds, Pd, è il politico più esperto della provincia di Varese, ed é anche abbastanza noto nelle cronache parlamentari: soprattutto per essere stato l’ambasciatore di D’Alema e Veltroni, con Bossi e Maroni. Consigliere comunale, consigliere regionale, nel 2006 era appena entrato a Montecitorio, quando fu eletto Giorgio Napolitano per la prima volta. Agli amici racconta ancora quei giorni, quando D’Alema, in aula, gli disse di prendere il telefono e chiamare Bobo Maroni, per comunicare che “baffino”, allora uno dei papabili, lasciava campo libero al “compagno Napolitano”. Proprio così, la racconta, con il gusto dell’aneddoto politico, quello dei palazzi sacri e delle istituzioni.
Oggi, Marantelli ha partecipato, con gli altri parlamentari del Pd, all’assemblea con Matteo Renzi. La notizia è che il Pd, con i suoi 450 grandi elettori, voterà per 3 volte scheda bianca, e alla quarta votazione, quando sarà sufficiente la maggioranza assoluta, si dirigerà verso un nome che dovrà essere largamente condiviso. I dem non possono spaccarsi. La responsabilità di un fallimento ricadrebbe tutta sul partito di Matteo Renzi, che già nel 2013, durante l’elezione del Presidente della Repubblica, bruciò due nomi, Marini e Prodi, per le sue divisioni interne: culminate con il voto contrario, di 101 grandi elettori, al padre dell’Ulivo, una ferita che, ancora oggi, viene continuamente rievocata in chiave di battaglia interna.
Onorevole, i grandi elettori del Pd, sono gli stessi del 2013, il partito riuscirà a restare unito o andrà a finire come allora, con il tradimento della linea ufficiale nel segreto dell’urna? «Non andrà come allora – spiega Daniele Marantelli – lo scenario è completamente cambiato. E’ vero che siamo le stesse persone del 2013, ma allora venivamo da un risultato elettorale deludente, che aveva indebolito e reso meno autorevole, la classe dirigente del partito. In quell’occasione c’era un clima diverso, più cupo e teso. Oggi il gruppo dirigente viene dalle europee e dalle regionali, tutte vittoriose. La riunione del partito di questa mattina è stata vissuta in modo diverso. Nessuno fa nomi, però chi ha un po’ di esperienza come me capisce benissimo a chi stia pensando qualche collega, quando pronuncia un discorso piuttosto che un altro».
E Daniele Marantelli a che nome pensa?
«Io credo che ci sia bisogno oggi di una persona che abbia dei tratti popolari. Che non sia invisa alla gente. Bisogna colmare la distanza tra il popolo e le istituzioni. Tutti i sondaggi dicono che, mai come oggi, c’è una spaccatura tra i cittadini, i partiti e il parlamento. La fiducia è ai minimi storici. Mi viene in mente una battuta di Bertold Brecht, dopo una sconfitta epocale della Spd tedesca. Disse, non vi resta che sciogliere il popolo. Ecco, il popolo non si può sciogliere, i governi e i parlamenti sì. Sarebbe meglio non dimenticarlo. Bisogna entrare in sintonia con il sentire comune».
Pensa che il nuovo presidente sarà eletto alla quarta votazione?
«Sarebbe meglio di sì, perché più si va avanti, più la questione diventa complicata. Ma si può fare anche alla sesta o alla settimana, l’importante è che si faccia presto».
Lei partecipa alla componente di Matteo Orfini (presidente del Pd) e Andrea Orlando (ministro della giustizia), quella che sui giornali viene chiamata dei Giovani Turchi. Cosa vi siete detti in queste ore?
«Ci sono stati incontri e riflessioni su come affrontare questo passaggio. Mi pare ci sia, da parte di tutti, la volontà di dialogare senza steccati, senza muri e senza preclusioni per nessuno. Un aspetto che forse nel 2013 era un po’ mancato. Anche se oggi, qualcuno ha usato parole un po’ eccessive nei confronti di Bersani, per quanto accaduto allora».
(1 – continua)
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