Dal fascismo alla resistenza, così nacque la Manchester d’Italia

Dagli sforzi richiesti dalla guerra fino al grande rilancio del dopoguerra. Ecco nel racconto dedicato alla storia dell'industria del territorio della Valle Olona uno dei passaggi più importanti

industria cotoniera

In un articolo sulla Cronaca Prealpina intitolato “Mentre infuria la battaglia”, a firma di Vanni Teodorani si esortavano gli imprenditori varesini a sostenere lo sforzo bellico dell’Italia fascista, minacciando con toni perentori gli industriali qualora non avessero sposato la causa:

Non si tratta di fare statistiche, grafici, teorie sulle nostre possibilità di fabbricare più o meno rapportandole per peregrino confronto al potenziale bellico nemico. L’importante è produrre […] e pertanto si requisisca, si commettano arbitri, si pestino piedi e interessi, ma si costruisca in fretta tutto ciò che occorre. [I capitani d’industria che non accettano di considerarsi in prima linea] vengano pure eliminati, che non piangeremo per loro. 

Il pezzo giornalistico di Vanni Teodorani, datato 18 luglio 1943, segnò una profonda frattura tra il mondo imprenditoriale varesino e il fascismo. Le forze produttive, già logorate da tre anni di guerra, consideravano ormai il fascismo incapace di garantire al Paese la prosperità economica e la pacificazione sociale, fattori che avevano portato il mondo dell’imprenditoria varesina ad appoggiare l’ascesa al potere di Mussolini, nei primi anni Venti. Dopo l’8 settembre 1943, tutte le manifatture indispensabili a sostenere l’abnorme sforzo bellico italiano, tra cui quelle cotoniere, vennero poste sotto il rigido controllo dei nazisti, e furono obbligate a collaborare al programma degli occupanti. Chi si opponeva rischiava di subire pesantissime sanzioni, tra cui la chiusura dei propri stabilimenti ed il trasferimento degli stessi in Germania.

Nonostante tutte queste intimidazioni, il contributo delle forze produttive in favore della Resistenza fu encomiabile: il Comitato di Liberazione di Gallarate in una sua pubblicazione del 1946, intitolata La resistenza gallaratese riconobbe infatti il ruolo imprescindibile dei capitani d’industria della Valle Olona nella Resistenza, i quali impedirono l’arruolamento forzato degli operai e rifornirono di ogni genere di materiali i partigiani che combattevano contro gli invasori. Gli opifici venivano impiegati altresì per nascondere le armi appartenenti alle brigate partigiane. Tra gli imprenditori attivi nella Resistenza si segnalarono anche molti cotonieri, tra cui Luigi Gasparoli, Cesare Macchi, Aldo Cuccirelli , Mario Grassi e Carlo Gorla. Nel libro E il quotidiano divenne eroico, che traccia un quadro completo della Resistenza a Busto Arsizio e nei territori limitrofi, si attesta che gli industriali cotonieri della zona (tra cui Antonietto Formenti, Giulio Borri, il Cotonificio Bustese e il Brusadelli di Legnano) fornivano le stoffe per la fabbricazione di capi di vestiario per i partigiani della zona. Molto importanti furono anche i contributi finanziari elargiti al Comitato di Liberazione Nazionale, la cui somma era compresa tra le 2.000 e la 400.000 lire.

Il 1945 segnò la definiva sconfitta dei nazi-fascisti e la Liberazione del suolo italiano dagli invasori tedeschi. Fu un anno nondimeno alquanto difficile per l’industria cotoniera (ma più in generale per l’intero settore secondario), poiché la carenza di materie prime, unita al calo della domanda interna dopo gli sconvolgimenti bellici, causarono molti problemi alle forze produttive della zona, la disoccupazione prima tra tutti. L’avvocato Tosi, allora sindaco di Busto Arsizio, lamentò il fatto che nella sua città ben 30000 operai rischiavano di perdere il lavoro, e che l’approvvigionamento delle materie prime era molto difficoltoso. La situazione venne risolta grazie ad un provvedimento lungimirante adottato dal Comitato di Liberazione Nazionale: un prestito di due miliardi e 690 milioni, finalizzato al rilancio dell’industria e alla ricostruzione delle opere pubbliche. Il finanziamento permise di integrare i salari degli operai licenziati e diede nuovo impulso al settore cotoniero, ponendo le basi per il boom economico degli anni Cinquanta. Già con il censimento industriale del 5 novembre 1951 furono registrati ben 656 opifici cotonieri, con un numero di lavoratori che si aggirava attorno alle 46497 unità, dato molto vicino a quello del 1931 (50000 operai), con 570000 fusi, 18 milioni di chili di filato all’anno e 32000 telai: segno che già nel primo dopoguerra l’industria cotoniera stava riguadagnando terreno e la cui produzione era ormai prossima ai livelli dei primi anni Venti, gli anni d’oro della tessitura italiana.

A Busto Arsizio nel medesimo anno si contarono ben 500 opifici cotonieri con 25000 dipendenti: l’appellativo di “Manchester d’Italia” appariva del tutto pertinente. La crescita del ramo cotoniero nell’area proseguì in tutti gli anni Cinquanta: nuove autorizzazioni per la costruzione di fabbriche del cotone vennero rilasciate tra il 1952 e il 1957 e riguardarono principalmente Busto Arsizio, mentre per quanto concerne gli altri centri urbani della Valle Olona, in questa fase si pensò maggiormente ad ammodernare e ristrutturare gli edifici produttivi già presenti. A Busto Arsizio tra il 1952 e il 1957 gli imprenditori titolari del cotonificio Venzaghi aprirono altre due manifatture per la produzione di fustagni, e un nuovo stabilimento di tintoria fu istituito nel 1952 sempre nella città. L’espansione economica del settore tessile-cotoniero e più generalmente dell’intera produzione industriale della zona proseguì nei primi anni del decennio susseguente, nel corso dei quali si decise addirittura di intensificare il ritmo produttivo al fine di soddisfare la richiesta sempre più rilevante di manufatti. Il benessere dei cittadini aumentò considerevolmente: il P.I.L. pro capite crebbe da 276075 lire nel 1951 a 487446 lire undici anni più tardi, nel 1962, tenendo in considerazione l’inflazione nella decade 1951-1961.

A testimonianza della prosperità che caratterizzava il settore cotoniero tra gli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta, e della sua importanza per gli abitanti della Valle Olona, la città di Castellanza fu scelta quale sede della prima Mostra del cotone, rayon e macchine tessili, inaugurata il 30 settembre 1951 e a cui presero parte 210 espositori, industriali cotonieri che colsero l’occasione di mostrare -e vendere: il valore degli affari conclusi fu stimato in svariati miliardi- ad un pubblico di 75000 visitatori (la maggior-parte dei quali erano stranieri) i propri manufatti. La mostra del tessile fu importante anche in quanto permise di sostenere le esportazioni di manufatti tessili prodotti in Valle in tutto il mondo. L’allora Capo dello Stato Luigi Einaudi, che era particolarmente interessato alle vicende delle industrie tessili della Valle Olona, visitò la suddetta esposizione l’11 ottobre 1951. Questo fatto straordinario testimoniava l’apprezzamento delle pubbliche autorità nei confronti dell’evento, tanto che con un decreto dello stesso Presidente della Repubblica, datato 31 dicembre del 1951, la mostra del tessile venne inserita nel Calendario delle Mostre Internazionali con periodo 27 settembre-12 ottobre e cadenza annuale. L’esposizione continuò ad avere grande successo sino alla fine degli anni sessanta, per poi decadere e cessare definitivamente l’attività nel corso degli anni settanta.

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Pubblicato il 27 Marzo 2015
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