L’uomo non ama il rischio non calcolabile
In occasione della Quinta lettura annuale della Fondazione “Giovanni Valcavi”, all’Università dell’Insubria di Varese il professor Franzoni, ordinario di Scienze delle Finanze presso l’Università di Bologna, ha parlato di responsabilità civile dei prodotti e d’incertezza
In occasione della Quinta lettura annuale della Fondazione “Giovanni Valcavi”, in ricordo dell’avvocato Valcavi ,nell’Aula Magna dell’Università dell’Insubria di Varese, via Ravasi 2, il professor Luigi Alberto Franzoni, economista e ordinario di Scienze delle Finanze all’Università degli Studi di Bologna, ha voluto dedicare il proprio intervento al tema del rischio e le sue implicazioni per la responsabilità civile sul danno prodotto, uno dei campi su cui è nata l’analisi economica del diritto negli anni ‘70.
Dopo la seconda guerra mondiale, negli Stati Uniti ci fu una diffusione sul mercato di prodotti di massa potenzialmente pericolosi, tanto che gli americani intravidero la necessità di regolamentare la responsabilità civile delle grandi imprese sui potenziali danni causati dai prodotti messi in commercio. Nacque la teoria del rischio d’impresa, che ben presto arrivò alla nostra Europa fino a giungere persino in Giappone, basata sull’ipotesi che chiunque porti sul mercato un prodotto nuovo, deve anche accollarsi gli eventuali danni che il prodotto causa ai consumatori.
Alla base c’è un’analisi accurata di costi e benefici, nel senso che quando un prodotto entra in circolazione e diventa un prodotto di massa, come ad esempio i farmaci, le imprese sono tenute ad adottare misure preventive necessarie per ridurre il danno che questi prodotti potrebbero causare, bilanciando i costi della rischiosità del prodotto con i benefici che ne può trarre il consumatore. Questo avviene grazie ad un test che prende il nome di risk utility, in cui, di fatto, si usano criteri economici di bilanciamento tra i due fattori sopra menzionati. Ad esempio, un farmaco per entrare in commercio deve essere approvato dall’Agenzia Italiana dei farmaci che a sua volta valuta se il beneficio offerto al paziente in termini terapeutici supera eventuali effetti collaterali dannosi e nocivi che ogni farmaco può contenere.
Il professor Franzoni ha spiegato come mai sia necessaria una regolamentazione a riguardo ragionando sul quel tipo di incertezza chiamata epistemica, ovvero quel rischio non calcolabile di cui ognuno di noi è testimone nel corso della propria vita( es. Non conosco con che probabilità subirò un incidente).
Secondo studi recenti, l’individuo non ama questo tipo di incertezza e, quando si trova a scegliere tra un’urna in cui sa con certezza che il 50% delle palle contenute sono bianche e l’altra metà nere , e una in cui sa che ci sono palle bianche e nere ma non conosce la probabilità con cui queste sono presenti, predilige quasi sempre la prima. Da questo si evince che il cittadino medio è avverso all’incertezza. Preso atto che l’incertezza rappresenta un costo aggiuntivo, bisogna prendere qualche misura precauzionale in più per assicurare maggior sicurezza al consumatore. È a questo punto che si tratta di capire chi tra le aziende produttrici e il consumatore sia il miglior sostenitore del rischio.
Secondo gli economisti, il consumatore rimane un agente razionale, che compie le proprie scelte in autonomia, non ha bisogno dello Stato che regolamenti tutte le sue decisioni, ma l’autonomia deve essere legata ad una visione realistica dell’essere umano che è fragile, in particolare manca di una conoscenza perfetta, non è onnisciente, è vulnerabile alla preoccupazione per il futuro e per questo ha bisogno di essere tutelato da regolamentazioni nell’ambito della responsabilità civile.
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