“Ci faceva morire di fatica, ma era un uomo straordinario”
Gaetano Auteri e Bruno Limido erano nel miracoloso Varese di Fascetti e ricordano affranti Enrico Arcelli. «Un maestro di sport e di umanità»
Prima dell’avvento di Beppe Sannino, pochi anni orsono, gli ultimi ricordi vincenti ad alto livello del Varese calcio risalivano a un quarto di secolo prima. In panchina, e questo lo vedevano tutti, sedeva quel vulcano livornese di Eugenio Fascetti ma il suo genio tattico era solo una delle ragioni del successo di una squadra senza particolari stelle, capace però di arrivare a mezzo passo dalla promozione in Serie A.
Una delle chiavi del successo di quel Varese era la preparazione atletica, un’area che in quegli anni (tra i Settanta e gli Ottanta) era ancora tutta da esplorare e di cui era dominus assoluto Enrico Arcelli, che da lì a poco avrebbe aiutato Francesco Moser a cogliere i suoi storici record dell’ora di ciclismo.
Grazie al “prof” quel Varese composto da buoni giocatori fu in grado di lanciarsi all’assalto di squadre ben più quotate e di batterle sovente, grazie alla “benzina” che il lavoro di preparazione era stata accumulata nelle gambe dei biancorossi. Ragazzi che, a tanti anni di distanza, sanno di dovere ad Arcelli una fetta della loro carriera ad alto livello. Lo dicono senza mezzi termini sia Gaetano Auteri sia Bruno Limido, pezzi importanti del “casino organizzato” di Fascetti, entrambi increduli e addolorati nell’apprendere la notizia della morte del professore.
«Una perdita grave: se ne va una persona speciale. Ed è tanto più incredibile se penso che ancora correva nei dintorni di Velate o Sant’Ambrogio, con il suo passo, come aveva sempre fatto. Non posso che fare coraggio alla sua famiglia: dopo Peo Maroso un altro grande del Varese che ci lascia» ricorda Limido che poi traccia a parole quello che Arcelli era all’interno dello spogliatoio biancorosso. «Lo consideravamo un confidente, un fratello maggiore. Lui ci massacrava con allenamenti terribili, noi ci “vendicavamo” appena ce n’era l’occasione, sempre però con il massimo rispetto per la persona e per i ruoli che avevamo».
Limido cita il “Golgota”, una salita di un’ottantina di metri sui prati del Golf Club di Luvinate divenuto luogo del sacrificio massimo per i calciatori, poco avvezzi a certi sforzi. «Cinque ripetute di fila, con Arcelli posizionato in basso e Fascetti spaparanzato in cima sulla sedia, fino ad arrivare a un totale di 25 scatti a tutta. Roba da stare male» spiega Limido.
«A Luvinate – rincara Auteri – facevamo lavori di potenza aerobica, eravamo sempre attorno alla soglia massima, una fatica pazzesca. Però erano esercizi utili: in quel modo Arcelli stava rivoluzionando la preparazione atletica e in questo campo ha dato tantissimo allo sport». L’ex attaccante però ci tiene a sottolineare anche altri lati della personalità del “prof”: «Al di là delle competenze scientifiche, era una persona straordinaria, con una umanità fuori dal comune. Dopo Varese lo ebbi anche a Monza, ho lavorato a lungo con lui e questa notizia mi fa un dispiacere estremo».
È ancora Limido a ricordare qualche aneddoto significativo. «Al martedì era abitudine fare 30’/40′ di corsa lenta, in gruppo, intorno allo stadio. Allora scattava la nostra “vendetta” nei suoi confronti. Arcelli infatti correva accanto a noi, pur avendo un po’ di anni in più: negli ultimi minuti perciò io, Di Giovanni, Salvadè e altri ci mettevamo in testa al plotone aumentando l’andatura fino a “tirargli il collo”. Gli davamo del “pelato maledetto” ma lui non batteva ciglio e stava allo scherzo: un signore anche in quei momenti».
E della sua abitudine a seguire gli atleti è testimone anche Auteri. «Oltre ai soliti allenamenti durissimi sui campi da golf, nel terzo anno in cui ero a Varese Arcelli introdusse anche una salita al Sacro Monte. La difficoltà e la fatica furono enormi anche per noi, ma il professore decise di correre nel gruppo e arrivò, ansimando, fino in cima». Un esempio di quelli che non si dimenticano e non lasciano indifferenti.
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